CATANIA – Non può essere declamazione, né atto di vittimismo, o solo cifre da cronaca, ma quella che vi stiamo presentando è la realtà del commercio etneo espressa dai diretti interessati. Parla la gente. Le testimonianze che descrivono il tunnel in cui si sta trovando il commercio sono state rilasciate da titolari le cui attività sono ubicate nelle zone più attive, perché centrali di Catania.
La prima è del titolare di un negozio di arredamenti e complementi d’arredo. Ci riferisce: “Lo stato attuale di chi, come me, si occupa di arredamenti per interni e complementi d’arredo, non gode di migliori fortune rispetto ad altri settori commerciali. Non può mancare il confronto del volume di affari di circa cinque/sette anni fa. Posso confermare che il calo di fatturato è stato terribile, con oscillazioni del 55/60%, un totale disastro. Un esempio: ricevo un ordine pari a 15/18 mila €; consegna del materiale prevista a due mesi dall’ordine; ricevo dal committente un acconto di 2.500 € con saldo finale alla consegna”.
Fin qui nulla di strano. “Giunti quasi alla data di consegna della merce, i committenti lamentano che per problemi sul lavoro o spettanze non pagate da mesi, o perché non riescono a ricevere i cosiddetti finanziamenti del credito al consumo a causa della non affidabilità delle ditte dove lavorano o, per gli scarsi redditi percepiti, lasciano a decantare nel deposito, “a mie spese”, il materiale che già ho profumatamente pagato alla ditta costruttrice, con la speranza di risolvere l’incauto acquisto aspettando tempi migliori. A conti duri, mi ritrovo fuori dei soldi che ho dovuto versare alla “casa madre” e il deposito pieno di merce che, per ovvi motivi, difficilmente riesco a piazzare. Addirittura, a causa di un ordinativo di una cucina di marchio nazionale pari a 25 mila €, con acconto versato di 5.000 €, i 20 mila € restanti sono stati anticipati da me. Le case produttrici, se non si assicurano i bonifici bancari, non fanno partire gli spedizionieri in quanto già in passato hanno subito parecchie truffe da commercianti poco seri e affidabili. Sono amare realtà con cui giornalmente ci scontriamo”.
Allargando le braccia prosegue: “Tenterò di sopravvivere fino ai primi mesi del 2014 e, se non noterò tangibili inversioni di rotte sarò costretto a chiudere l’attività e cercare onestamente di rientrare con i vari istituti di credito che mi hanno comunque, tra mille traversie, dato fiducia, ma dovrò cercare di capire a 50 anni cosa dovrò inventarmi per far vivere la mia famiglia in maniera dignitosa, almeno che non decida di trasferirmi all’estero”.
E tra negozi chiusi per “cessata attività” e crisi dovuta ad una scarsa affluenza, nonostante i “saldi” il titolare di un negozio di abbigliamento denuncia: “Manca la liquidità da parte degli acquirenti, sebbene siamo ancora in periodo di sconti. Ciò che posso affermare è semmai che la situazione è stazionaria negativamente anche se ho personalmente registrato un aumento del 10%, ma questo non aiuta affatto e non sostiene i programmi per la stagione entrante. Infatti sarò costretto a ridurre l’ordinativo della merce per evitare che sulla rimanenza debba ulteriormente pagare l’Iva. Si può ben notare che altri esercizi commerciali in corso Italia e zone limitrofe, comunque centrali, hanno dovuto abbassare le loro saracinesche”.
Le immagini a corredo dell’articolo (e ce ne sarebbero molte altre che per ragioni di spazio non pubblichiamo) sono eloquesti, soprattutto se consideriamo che sono state scattate in un periodo in cui i saldi sono proposti “fino al 70%”. Ma anche questo non basta.