PALERMO – Di proroga in proroga, ecco l’ennesima scadenza del 31 dicembre 2013, termine entro il quale i sindaci devono dismettere le società partecipate. Grossi e inutili carrozzoni, serbatoi di clientele e sprechi di ogni genere, queste società poco o nulla servono alla collettività, nonostante il pretesto sia quello di fornire servizi di pubblica utilità. In in poco tempo, invece, sono state completamente trasformate in ‘parcheggi’ per politici ‘trombati’ nelle varie tornate elettorali o per clienti delle diverse segreterie politiche. Avere il numero esatto e l’importo che la collettività sborsa per il loro mantenimento è però impossibile: ne abbiamo contate 80 nei nove Comuni capoluogo e 683 (ma solo in 164 Comuni), secondo il censimento ministeriale. Il costo delle partecipate, stimato tenendo conto di tutti i 390 Comuni, supererebbe i 700 mln €.
Sono molteplici le leggi nazionali che hanno provato, negli anni, a fare ordine nel complesso mondo delle società partecipate. Il decreto legge 95/2012 aveva imposto agli enti locali la privatizzazione di tali aziende entro il 30 giugno o addirittura lo scioglimento entro il 31 dicembre laddove il fatturato, nel 2011, superi il 90 per cento per prestazioni di servizi a favore delle pubbliche amministrazioni. Il ‘decreto del fare’ (L. 98/13), però, ne ha rinviato i termini, unificando il tutto per il 31 dicembre 2013 e facendo decorrere dal primo luglio 2014 l’assegnazione del servizio alla società privatizzata per 5 anni. Anche il dl 78/2010 aveva tentato di mettere un freno alle partecipate – e ancor prima la legge 244 del 2007 e subito dopo il dl 138 del 2011 – ma neanche questa norma ha evitato tutti i rinvii che di fatto hanno spostato tutti i termini, ora a giugno, ora a settembre, ora addirittura a dicembre.
Qualche giorno fa, intanto, è scaduto il termine per i Comuni fino a 30 mila abitanti mentre per gli altri, grazie alla legge 135 del 2012, c’è ancora tempo fino al 31 dicembre 2013 per sciogliere o alienare le numerose società partecipate. Anche su questa scadenza, però, aleggia un alone di dubbio visto che alcune sezioni regionali della Corte dei Conti, considerando le conseguenze cronologiche della prorogatio, hanno posticipato i termini della questione di nove mesi, pervenendo così al 30 settembre 2014, caso a parte per i Comuni con una popolazione inferiore ai 30 mila abitanti. I rinvii, diversi e continui, non fanno altro che alimentare questi grossi e inutili carrozzoni che, ammettiamolo, poco o nulla servono alla collettività.
Nate con il pretesto di fornire servizi di pubblica utilità, le partecipate, in poco tempo, sono state completamente trasformate in ‘parcheggi’ per politici ‘trombati’ nelle varie tornate elettorali o per clienti delle diverse segreterie politiche. Stimarne il numero esatto e l’importo che la collettività sborsa per il loro mantenimento è però impossibile: le Amministrazioni poco osservano la normativa sulla trasparenza e l’informazione e, anche se la legge 296/2006 impone di comunicare al Dipartimento governativo della Funzione pubblica l’elenco delle partecipazioni in consorzi e società e il d.lgs 33/2013 stabilisce delle sanzioni per i più furbi, la maggior parte continua a mantenere nascosti i dati in questione. Nella tabella che riportiamo, comunque, è possibile osservare la geografia delle società partecipate dei nove Comuni capoluogo della Sicilia: i dati del ministero sono relativi al 2011 ma alcuni siti istituzionali risultano più aggiornati e utili per effettuare una migliore ricognizione in tal senso. In queste nove Amministrazioni, sono ben 80 le società con una partecipazione pubblica e di queste solamente 12 risultano in liquidazione, due in dismissione, una in fallimento, una commissariata e soltanto una, la Gesip Palermo spa, ha concluso la sua attività per il Comune il 31 agosto 2013.
Le Amministrazioni non sembrano, infatti, avere particolare preoccupazione per la dismissione di tali società. Emblematico il caso del Comune di Messina che, sul proprio sito istituzionale, inserendo i dati relativi alle partecipate, ha affidato ad alcune di esse come data fine della società l’anno 2050, il 2022 o addirittura il 21 marzo 3000 per l’Azienda trasporti Messina. Si tratta sicuramente di date indicative ma tutto ciò dimostra che a poco servono i proclami del governo nazionale in tal senso e le ultime leggi emanate a riguardo. Le partecipate sono ancora troppo radicate nel nostro territorio così come in quello italiano: solo in Sicilia, ad esempio, le partecipate accertate sono 228 ma le stime crescono notevolmente spulciando gli elenchi, relativi al 2011, del dipartimento della funzione pubblica. Qui, infatti, seppur non tutti i 390 Comuni siciliani abbiano comunicato i dati relativi alle società (lo hanno fatto in 164), risultano ben 683 società a partecipazione pubblica. Una valutazione esatta dei costi diventa impossibile ma sui dati già forniti sono certi oltre 334 milioni di euro. Una stima orientativa porterebbe a superare i 700 milioni di euro.
Oltre ad abolire un inutile spreco per tutti i cittadini, la privatizzazione delle società partecipate potrebbe portare una serie di agevolazioni per gli enti locali. Il compimento di operazioni di dismissione di partecipazioni societarie costituisce parametro di virtuosità dell’ente, per il Patto di stabilità, a decorrere dall’anno 2014 e, proprio in questo caso, è previsto un alleggerimento delle sanzioni per il mancato rispetto, come stabilisce la legge 228 del 2012. Inoltre, agli enti locali che cedono proprie partecipazioni in società di servizi pubblici di rilevanza economica, eccetto il servizio idrico, è destinata una quota del Fondo infrastrutture da destinarsi ad investimenti infrastrutturali nei territori dei medesimi comuni. Il termine per la cessione è comunque quello del 31 dicembre 2013 che, però, appare fin troppo vicino affinché le Amministrazioni decidano di dismettere i pesanti carrozzoni delle partecipate.
I “distinguo” di legge le resistenze dell’Anci
PALERMO – Anche se la legge 135 del 2012 impone la dismissione delle quote di partecipazione dei Comuni, ci sono comunque delle eccezioni che ‘salvano’ numerose società. La normativa vigente, infatti, esclude dalla liquidazione le aziende che svolgono particolari attività, come servizi ai cittadini o centrali di committenza, e quelle che saranno individuate con apposito DPCM sulla base di particolari esigenze di interesse pubblico generale, oltre alle società quotate e le loro controllate.
Anche qui, però, il Governo impone dei vincoli – come nel caso in cui gli enti locali non liquidano o alienano le società in questione entro il termine ultimo – e in particolare prevede misure di contenimento della spesa del personale, con particolare riferimento ai contratti a tempo determinato.
È proprio per quest’ultimo provvedimento che i sindacati si dicono completamente contrari alla rimodulazione delle società partecipate visto che, per la triplice, migliaia di posti di lavoro sarebbero naturalmente compromessi.
Anche l’Associazione nazionale dei Comuni non si dice favorevole alla liquidazione e all’alienazione di queste aziende: lo stesso presidente Piero Fassino ha infatti inviato una nota al ministro per gli Affari regionali, Graziano Delrio, chiedendo di far luce sulla complessa questione, considerati i diversi pareri della Corte dei Conti, e sulla “specificità di alcuni settori” che, secondo l’Anci, non possono essere privatizzati.