Deflazione, Istat: la Sicilia regione più a rischio d’Italia

PALERMO – La Sicilia e l’Italia sono ormai a un passo dalla deflazione. Gli ultimi bollettini statistici dell’Istat appaiono quanto mai indicativi: per due mesi consecutivi – tra settembre e ottobre – i prezzi al consumo, a dispetto anche dello scatto dell’Iva dal 21 al 22%, sono scesi. Non succedeva dal gennaio del 2009.
A una prima analisi potrebbe sembrare una buona notizia, in quanto il rallentamento dell’inflazione ha come conseguenza un ampliamento del potere d’acquisto dei consumatori. Ma la fiducia dei cittadini nella ripresa economica è ai minimi termini (come rivela la stessa Istat e di cui diamo conto nell’articolo qui sotto), per cui si rischia di rimanere impantanati nella spirale deflazionistica: la gente spende meno, i listini continuano a scendere, e tuttavia la domanda cala perché si aspetta che i prezzi possano diminuire ulteriormente.
 
Come ha scritto qualche giorno fa l’economista Francesco Daveri sul Corriere della Sera, il pericolo è di contrarre la “sindrome giapponese”. Non si tratta soltanto della riduzione dei costi per i beni di prima necessità. “Come sanno bene i giapponesi, la deflazione non è la  riduzione del prezzo del pane e della benzina – spiega Daveri – È la riduzione di tutti i prezzi. E il sollievo apparente e momentaneo ha una grave conseguenza: se le persone si abituano all’idea che domani potranno pagare meno un’automobile, una lavatrice o un trapano, il momento buono per acquistare non arriverà mai”. E questo inevitabilmente innescherebbe un meccanismo a catena, per cui: calano i prezzi, il mercato rimane paralizzato e le aziende sono costrette a diminuire i salari o a tagliare il personale. Da qui alla depressione il passo è breve: meno redditi e dunque meno liquidità in circolazione, maggiore diventa il rischio della “paralisi” dell’economia.
Sarebbe il colpo di grazia in Sicilia, già provata dall’inarrestabile avanzata della disoccupazione. Ricordiamo che tra il 2012 e il 2013, nell’Isola il numero degli occupati è sceso da 1 milione e 422 mila persone a 1 milione e 338 mila, cioè in dodici mesi ben 84 mila siciliani sono finiti a spasso. Come se tutti gli abitanti di Marsala fossero rimasti senza lavoro.
La spinta deflazionistica sembra colpire maggiormente la Sicilia rispetto al resto d’Italia. Il bollettino statistico dell’Istat di settembre ha fotografato l’andamento dell’aumento dei prezzi nelle Regioni, prendendo a campione i Capoluoghi. Già poco più di un mese fa, l’Istituto nazionale ha registrato come Palermo, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, avesse i tassi d’inflazione più contenuti d’Italia (+0,3%). E addirittura l’indice dei prezzi al consumo segna una variazione negativa a confronto con il mese precedente (-0,4%). L’aumento tendenziale dei prezzi più vistoso si è raggiunto a Reggio Calabria (+2,5%). Seguono, con aumenti sensibilmente inferiori, le città di Genova (+1,6%) e Bari (+1,3%). Roma e Milano hanno registrato incrementi rispettivamente per l’1 e lo 0,9%. Il confronto ci permette di capire quanto la Sicilia sia più a rischio “deflazione” delle altre regioni.
Ma, come dicevamo all’inizio, la doccia fredda è arrivata con la conferma del mese di ottobre: i prezzi stanno continuando a scendere. L’Istat ancora non ha reso noti i dati definitivi dai capoluoghi regionali, ma l’andamento nazionale appare abbastanza eloquente. Nel mese di ottobre 2013, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra una diminuzione congiunturale (cioè rispetto al mese precedente) dello 0,3% e un aumento dello 0,7% su base annua, in rallentamento rispetto alla dinamica rilevata a settembre (+0,9%). L’inflazione, in altre parole, è scesa di 0,2 punti e si avvicina clamorosamente verso lo zero.
Ma perché la dinamica dei prezzi sta puntando verso il basso? “Il rallentamento dell’inflazione – spiega la nota dell’Istat – è in gran parte imputabile alle componenti più volatili, come i beni energetici e gli alimentari freschi”. I beni energetici, complessivamente, hanno subito una diminuizione dei prezzi dell’1,3%, mentre gli alimentari dello 0,8%. Crollano i listini dei servizi relativi alle comunicazioni: -4,4% tra settembre e ottobre, e addirittura -8,2% confrontando lo scorso mese con lo stesso periodo del 2012.
Serve chiaramente un’iniezione di liquidità per uscire dalla morsa depressiva, attraverso un sostegno alle imprese dell’Isola, magari un piano per le startup, l’apertura di cantieri e dunque la creazione di nuovi posti di lavoro. È passato un anno da quando si è insediato il governo di Rosario Crocetta e ancora nulla di tutto questo è stato fatto. Si sta scherzando con il fuoco.
 

 
Andamento listini. I prezzi in picchiata e quelli in salita
 
Sono soprattutto i prezzi dei beni alimentari e dei beni energetici, insieme con i servizi per la comunicazione, a registrare le diminuzioni più considerevoli. Tra settembre e ottobre, il costo dell frutta fresca è sceso del 3,5% (+0,9% su base annua), quello dei vegetali dell’1,5% (-6,8% in termini tendenziali). Cali congiunturali si rilevano inoltre per i prezzi del pesce fresco (-2,1%, -1,4% su base annua). Veniamo ai beni energetici. Per quanto riguarda il comparto regolamentato, il calo congiunturale è da attribuire alla diminuzione su base mensile del prezzo sia del gas naturale (-1,1%) che dell’energia elettrica (-0,6%).
Su base annua il prezzo del gas naturale segna una flessione del 3,6% (era -1,4% nel mese precedente) e quello dell’energia elettrica una flessione dello 0,7% (era +1,3% a settembre). Nel comparto non regolamentato si rilevano ribassi congiunturali dei prezzi di quasi tutti i carburanti.
Il prezzo della benzina diminuisce del 3% rispetto al mese precedente e mostra una flessione del 5,5% su base tendenziale. Il prezzo del gasolio per mezzi di trasporto segna un calo su base mensile dell’1,0% e registra una diminuzione su base annua del 4,0%. Per quel che concerne i beni durevoli, l’Istat segnala le diminuzioni congiunturali dei prezzi degli apparecchi per la telefonia fissa (-2,5%, +6,6% in termini tendenziali) e mobile (-5,3%, -10,4% su base annua) e della gioielleria (-1,1%; in flessione del 9,1% in termini tendenziali). Nell’ambito dei servizi relativi ai trasporti, si rileva una sensibile diminuzione congiunturale dei prezzi del Trasporto aereo passeggeri (-8,1%), ma aumentano i prezzi del trasporto marittimo passeggeri (su base mensile del 3,6%)  – per effetto degli aumenti dei prezzi dei collegamenti con Sicilia e Sardegna – e quelli del trasporto ferroviario passeggeri (+0,9% da settembre a ottobre).
 

 
Se i prezzi scendono, famiglie e imprese attendono tempi migliori per spendere
 
PALERMO – Qualcuno potrebbe parlare di “effetto Iva” a proposito della nuova discesa della fiducia dei consumatori registrata dall’Istat nel mese di ottobre. Perché se a settembre si era avuta una timida risalita, il mese che ci siamo appena lasciati alle spalle ha fatto registrare un nuovo segno negativo, con il termometro nazionale (tarato su una base 2005=100) sceso da 100,8 a 97,3 punti. Diminuisce anche la fiducia delle imprese: l’indice è passato da 82,8 a 79,3. Certo rispetto all’umore nerissimo registrato tra l’inizio del 2012 e i primi mesi del 2013, il calo di fiducia non è poi così ampio: le famiglie e le imprese sono certamente più ottimiste che nel primo semestre dell’anno. E tuttavia la situazione desta qualche preoccupazione: perché sarebbe deleterio se alla discesa dei prezzi registrata negli ultimi due mesi (come scriviamo sopra) si sommasse anche una scarsa propensione ai consumi. La depressione sarebbe a quel punto inevitabile: i prezzi scendono e i cittadini continuano ad aspettare tempi migliori. In una parola: paralisi. Rispetto al mese precedente, gli italiani appaiano più pessimisti sulla situazione economica del Paese (il saldo passa, rispettivamente, da -110 a -129 per i giudizi e da -11 a -14 per le attese). In peggioramento risultano inoltre le aspettative sulla disoccupazione (da 68 a 71 il saldo).
Aumenta dunque la quota di cittadini che non ha alcuna intenzione di spendere. Una nuova autovettura, un elettrodomestico, uno smartphone o un tablet sono spese che in molti rimanderanno. Come si legge nel bollettino dell’Istat, le valutazioni sull’opportunità di acquisto di beni durevoli mostrano un peggioramento, con il relativo saldo che passa a -90 da -79. Le consuete domande trimestrali sulle intenzioni di acquisto di autovetture e di abitazioni evidenziano una stazionarietà dei saldi rispetto al trimestre precedente: per le intenzioni di acquisto di autovetture il saldo rimane a quota -172 mentre per le intenzioni di acquisto di un’abitazione rimane a -190.
Tra le zone che registrano una maggiore sfiducia tra i consumatori c’è il Mezzogiorno: qui l’indice scende da 99,2 a 95,4. Diminuiscono tutte le componenti e si segnala un peggioramento più marcato della fiducia relativa al quadro economico, corrente e personale (i rispettivi indici passano da 98,6 a 90, da 99,8 a 92,9 e da 100,6 a 96,3); anche la fiducia relativa al quadro futuro risulta in peggioramento (l’indice passa da 100,2 a 97,8). Il calo della fiducia delle famiglie e delle imprese di ottobre è dunque un ulteriore ostacolo alla ripresa economica. Eppure c’era da aspettarselo: la mancanza di stabilità politica, una nuova ondata di tasse in arrivo (l’aumento dell’Iva al 22%, la farsa dell’abolizione dell’Imu subito sostituita da un balzello che potrebbe rivelarsi ben più pesante, ovvero l’imposta bifronte Trise) sono soltanto alcuni dei fattori che rendono inquieti i sogni dei cittadini. Veri e propri incubi in Sicilia, dove i problemi nazionali si saldano con la precarietà di un governo regionale incapace di dare risposte, una tassazione tra le più alte d’Italia (si pensi alla carissima addizionale regionale all’Irpef) e una carenza infrastrutturale che rende le imprese meno competitive e dunque, inevitabilmente, meno ottimiste.
 


Cos’è la deflazione. Calo dei prezzi, spirale negativa per l’economia
 
La deflazione è, in macroeconomia, una diminuzione del livello generale dei prezzi. Il fenomeno opposto si definisce inflazione.
La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, i quali poi attendono ulteriori cali dei prezzi, creando una spirale negativa.
Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori.
La riduzione dei prezzi si ripercuote per le imprese sui ricavi, anch’essi generalmente in calo.
Ne deriva il tentativo da parte delle imprese di ridurre i costi, attraverso la diminuzione dei costi per l’acquisto di beni e servizi da altre imprese, del costo del lavoro e tramite un minor ricorso al credito.