Sulle discriminazioni di genere, Mezzogiorno ancora sordo

PALERMO – L’Italia rimane un paese ricco di stereotipi, lo conferma l’Istat con la pubblicazione del report che va ad indagare l’opinione della popolazione sulle condizioni di genere, l’orientamento sessuale, l’appartenenza etnica. Anche questa indagine restituisce un Paese spaccato a metà, esattamente in due, in una configurazione che vede le regioni centro-settentrionali maggiormente predisposte a riconoscere i problemi esistenti di discriminazione all’interno del nostro tessuto sociale, e le regione meridionali e insulari (dunque anche la Sicilia) che riconoscono anch’esse il problema ma in percentuali estremamente minori.
Il primo tipo di discriminazione preso in considerazione dall’Istat è quella tra uomo e donna. Una differenza che in Italia viene percepita sia in ambito familiare che, sempre più, in quello lavorativo. A causa delle condizioni attuali però oggi la posizione degli uomini viene considerata solo “leggermente positiva” rispetto quella della donna; lo pensa il 44 per cento degli italiani che risiedono a Nord-Est, il 40,6 per cento di quelli residenti al Centro e solo il 36 per cento dei residenti a Sud e nelle Isole. Proprio in queste ultime zona questo tabù di genere sembra definitivamente infranto: solo il 15 per cento di tutta la popolazione Meridionale crede che gli uomini abbiano una condizione nettamente migliore rispetto alle donne.
Si aggirano così su una media del 33 per cento gli italiani che credono ormai che la condizione di uomini e donne sia la stessa, la maggior parte di essi è residente proprio al Sud e nelle Isole. Che questa realtà non sia vera lo testimoniano le rilevazioni Istat in cui è stato chiesto se si nota una difficoltà a scapito della donne nel trovare lavoro rispetto agli uomini. Coerentemente a quanto sinora sondato solo il 40 per cento degli abitanti delle regioni meridionali, insieme a Sicilia e Sardegna, crede che le condizioni siano peggiori, mentre a Nord-Est lo crede oltre il 63 per cento.
Una stessa percentuale del 40 per cento per Sud e Isole sostiene che è peggiore la retribuzione lavorativa delle donne, contro gli oltre 50 per cento, quasi 60 per cento, del Centro-Nord; ancora al Sud e nelle Isole, però, ben il 51,6 per cento sostiene che non vi siano differenze tra le retribuzioni di donne e uomini, stima il 7 per cento superiore rispetto tutta la media italiana. Stesse opinioni si possono riscontrare per possibilità di carriera delle donne (45,5 per cento sostiene che ci siano uguali possibilità), stabilità del posto di lavoro (45 per cento sostiene non ci sia differenza nel mantenerlo), adeguata considerazione da parte del datore di lavoro (il 55,2 per cento sostiene non ci sia differenza). La “voce” del Meridione torna a farsi positiva a favore delle donne quando si sostiene l’iniquità del carico di lavoro attribuitole in famiglia: il 24 per cento della popolazione la giudica ingiusta, contro il 18 per cento del Nord-Ovest e 22 per cento della media nazionale.
Alla domanda “avere un’istruzione universitaria è più importante per un ragazzo che per una ragazza”, la popolazione del Sud e delle Isole tornano tradizionaliste esprimendosi solo per il 76,4 per cento con un giudizio totalmente contrario, stima il 4 per cento più bassa rispetto la media nazionale e quasi 10 punti percentuali rispetto le zone centrali.
Insieme all’istruzione anche i ruoli dirigenziali sembrano essere considerati inadatti alle donne. Alla domanda “se ci fossero più donne dirigenti, il mondo degli affari e l’economia ne trarrebbero vantaggio” solo il 19,2 per cento degli italiani si è detto molto d’accordo. Tra questi i meno d’accordo (14 per cento) sono ancora gli italiani residenti a Sud e nelle Isole, quanti sono pienamente convinti di questa possibilità si trovano ancora una volta a Nord (in particolare Nord-Est con il 24 per cento censiti).
Salvo rarissime eccezioni il quadro appare molto chiaro. Pur con le dovute differenze geografiche le discriminazioni tra uomini e donne sono vive e fortemente a scapito del cosiddetto “sesso debole”. La possibilità di un rilancio delle condizioni della donna, che non passi solo dal riconoscimento di un eccessivo carico di lavoro domestico, sembrano poche. Lo sembrano ancora di più nelle zone del Sud ed in Sicilia, dove il ruolo e il peso della donna sembra addirittura avere conto inferiore anche quando si parla di istruzione.