Parliamo di lotta alla mafia e alla ‘ndrangheta. Com’è la situazione allo stato attuale? Delle due organizzazioni, quale risulta più organizzata?
“La situazione criminale in Sicilia e Calabria presenta alcune differenze che è bene ricordare. Da una parte si affronta un’organizzazione – quella mafiosa – che, in virtù dei ragguardevoli traguardi raggiunti dallo Stato negli ultimi anni nelle attività di cattura di pericolosi latitanti, sembra vivere un momento di appannamento, determinato da una situazione estremamente fluida, con continui e significativi mutamenti nell’organizzazione e nella compagine delle cosche. Queste ultime, in alcuni casi, si sono viste costrette ad arruolare, anche in posizioni strategiche, personaggi più giovani e con minore esperienza criminale e ad attribuire una maggiore autonomia alle singole famiglie rispetto al modello unitario e di comando del passato. Dall’altra, si contrasta un’organizzazione – quella ‘ndranghetistica – che, invece, è oggi considerata come la più attiva e la più agguerrita nel panorama nazionale, in quanto storicamente sviluppata intorno a singoli nuclei familiari e quindi più impermeabili a qualsiasi forma di intromissione. Caratteristica che ha determinato, nel tempo, lo sviluppo di un modello complesso, con legami parentali trasversali, al fine di creare alleanze per il raggiungimento di obiettivi criminali condivisi. La chiave di volta per contrastare entrambe le organizzazioni, tuttavia, può essere individuata nel principale aspetto che le accomuna: il fine di accumulare ricchezze. Muovendo da questo profilo la Gdf ha investito importanti risorse per porre a frutto tutti gli strumenti normativi finalizzati ad anemizzare la crescita e lo sviluppo delle citate consorterie criminali, minandone nelle fondamenta l’efficacia e la forza intimidatrice”.
Confisca dei patrimoni riconducibili ai boss: qual è il vostro ruolo?
“Per rispondere a questa domanda vorrei esordire parafrasando un principio elaborato dalla Corte Costituzionale, secondo cui la garanzia della proprietà vale in quanto essa può assolvere la propria funzione sociale che consiste nella sua capacità di favorire e incrementare lo sviluppo di altri diritti costituzionalmente protetti. Ma se ciò non avviene e al contrario si verifica la “mortificazione” di quella funzione – così come accade quando la proprietà è diretta espressione di illecite condotte – il diritto di proprietà diviene antisociale e ne viene meno la ragione di tutela. L’elaborazione di questo scenario è funzionale per meglio capire il ruolo della guardia di finanza, rimarcato anche dal carattere di polizia economico finanziaria attribuitole dall’attuale quadro normativo di riferimento. Essa si propone quale presidio di legalità, volto a soddisfare un bisogno sociale fondamentale, ovverosia la sicurezza economica, intesa come l’insieme di tutele che garantiscano la libertà negoziale e il diritto di impresa. E più in generale, tutte quelle libertà e quei diritti che consentono di determinare le condizioni di ‘libero mercato’. In tale contesto e secondo i principi già esposti, i reparti del Corpo utilizzano gli strumenti investigativi e le capacità professionali che gli derivano dalla sua specifica esperienza accumulata nel campo delle investigazioni documentali e finanziarie anche per effettuare indagini patrimoniali finalizzate a drenare le ricchezze illecitamente accumulate”.
A quanto ammonta il valore dei beni confiscati nel 2008?
“L’impegno profuso nello specifico settore è sicuramente significativo. Se solo si considera che, nel 2008, a livello nazionale, il valore delle confische effettuate per effetto di indagini patrimoniali condotte dalle fiamme gialle ammonta ad oltre 381 milioni di euro, ben 3 volte il dato del 2007. A livello regionale, i comandi in Sicilia e Calabria sono tra i più attivi, avendo essi concorso al raggiungimento del risultato nazionale per una percentuale pari all’85 per cento”.
Come procede la battaglia contro il lavoro sommerso?
“La Guardia di Finanza è da molti anni impegnata nel contrasto al cosiddetto ‘sommerso da lavoro’, un fenomeno che continua a rappresentare una rilevante criticità per il nostro Paese, dal momento che incide sul rispetto dei meccanismi di libera concorrenza tra imprese, sugli introiti contribuitivi ed erariali dello Stato, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. Non va trascurato, poi, che il lavoro nero è spesso collegato a più ampi contesti criminali, quali quelli connessi al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dal momento che uno dei principali fattori di attrazione della manodopera straniera in Italia è costituito proprio dall’offerta illegale di lavoro”.
Nel 2008, su questo fronte, che risultati avete conseguito?
“Nei primi 10 mesi del 2008, i reparti del Corpo hanno individuato oltre 29 mila posizioni lavorative non in linea con l’attuale normativa. In questa cifra sono compresi gli oltre 5.000 lavoratori extra-comunitari illecitamente impiegati in attività lavorative, oltre la metà dei quali totalmente in nero. Sempre nello stesso periodo, si è registrato un aumento del numero dei datori di lavoro verbalizzati che sono passati da 3.558 del 2007 a quasi 5.000 nei primi 10 mesi del 2008. La circostanza mostra con tutta evidenza che le attività economiche che ricorrono alla manodopera totalmente in nero continuano a essere sempre molto numerose, nonostante l’incisività delle pene pecuniarie previste a carico di chi impieghi lavoratori ‘in nero’, variabili da un minimo di 1.500 ad un massimo di 12 mila euro per ogni lavoratore illecitamente impiegato”.