LAMPEDUSA (AG) – Sono stati necessari tre giorni di assemblea, dal 31 Gennaio al 2 Febbraio, lunghe ore di discussione tra associazioni, comitati, collettivi, gruppi e persone giunti a Lampedusa dalle più diverse latitudini, e il lavoro di mesi del Progetto Melting Pot, promotore dell’iniziativa all’indomani della tragedia del 3 ottobre, per scrivere insieme una Carta che ridisegna i confini di un’Europa senza frontiere. Più di 350 persone riunite su un’isola che rappresenta il paradigma delle attuali politiche europee sulle migrazioni, insieme sogno e prigione per le migliaia di donne e uomini che decidono di abbandonare il proprio Paese e attraversare il Mediterraneo.
La Carta di Lampedusa non è una proposta di legge, né una richiesta ai governi, ma un patto tra gli scriventi e chi lo sottoscriverà per l’affermazione e la difesa dei principi in esso contenuti, nella convinzione che al modello di geografia politica, territoriale ed esistenziale che l’Unione Europea sta proponendo da anni, se ne debba sostituire un altro. “La Carta – si legge nel preambolo del documento – si fonda sul riconoscimento che tutte e tutti in quanto esseri umani abitiamo la terra come spazio condiviso e che tale appartenenza comune debba essere rispettata”.
Principio cardine la libertà: libertà di movimento; libertà di scelta, slegando il concetto di spazio da ogni logica di proprietà e privatizzazione, inclusa quella degli stati nazionali; libertà di restare, svincolata dallo svolgimento di attività lavorativa; libertà personale; e libertà di resistenza, a tutte le politiche tese a creare divisione, discriminazione, sfruttamento.
Accanto ai desideri e ai principi di fondo elencati nella prima parte della Carta, nella seconda gli obiettivi e le proposte per la sua attuazione: la smilitarizzazione dei confini, ovvero l’abolizione di tutte le operazioni legate al loro controllo, inclusi i respingimenti, e la conversione delle risorse stanziate in questo campo nella realizzazione di percorsi di arrivo sicuro e di accoglienza; l’abolizione del sistema dei visti, che costringe chi non può ottenerne uno a rischiare la vita per varcare le frontiere; l’abrogazione dei limiti quantitativi e qualitativi attualmente imposti al congedo familiare; l’annullamento delle norme che configurano come reato l’ingresso e il soggiorno qualificato come irregolare, nonchè delle figure di reato che criminalizzano il soccorso, l’accoglienza e l’ospitalità dei migranti; l’eliminazione di ogni presupposto che renda ineguale l’accesso ai diritti riconosciuti sulla base della cittadinanza, dal welfare all’accesso al lavoro ai diritti politici, compreso il voto; infine, ma non meno importante, la chiusura di campi e centri, per la costruzione di un sistema di accoglienza diffusa, decentrata e fondata sulla valorizzazione dei percorsi personali, auto-gestionaria e auto-organizzata, anche al fine di evitare il formarsi di monopoli speculativi sull’accoglienza e la separazione di essa dalla sua dimensione sociale.
Un testo che è una vera e propria dichiarazione programmatica, che apre un nuovo capitolo di mobilitazione per tutte le associazioni e i gruppi che hanno contribuito a redigerla: primo obiettivo, un milione di firme.