Social card, bloccati dalla lentezza burocratica gli 8,6 milioni di euro destinati a Catania e Palermo

PALERMO – Noi italiani, si sa, siamo parecchio puntigliosi per quanto riguarda l’utilizzo di termini che possono regolamentare lo sviluppo delle nostre vite – e, visti i tempi, delle nostre tasche: non siamo mai riusciti a digerire termini come “spread”, abbiamo impiegato anni per capire che “austerity” non fosse il cognome di un’autrice anglofona e “spending review” il titolo di una hit pop. Figuriamoci quando, nel 2008, l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti, varò l’assegnazione di una carta prepagata – destinata solo a cittadini con determinati requisiti – in grado di sopperire a spese sanitarie, domestiche e alimentari ai richiedenti.
 
All’epoca il potere dei social network non era incontenibile come oggi, ma non furono risparmiate ironie e battutine varie: si era in piena ingerenza berlusconiana, ed economicamente ci si poteva permettere di ridacchiare prim’ancora di lanciare sguardi disperati al portafoglio. La “social card”, miraggio miserabile per pochi appestati destinati ad aumentare nel corso degli anni, sarebbe stata rifinanziata nel 2012 dal governo tecnico: con un importo fino a 404 euro al mese, avrebbe avuto la funzione di supportare le famiglie cadute in povertà per un totale di 50 milioni di euro stanziati e 12 Comuni coinvolti.
Nel tentativo di evitare la procedura di infrazione del diritto UE dinanzi alla Corte di Giustizia europea, il Governo aveva varato – nel febbraio 2012 – l’art. 60 del Dl 9 febbraio 2012, n. 5 (che il Parlamento, in seguito, avrebbe trasformato in legge), volto a lanciare la “sperimentazione” della nuova card per i Comuni con oltre 250.000 abitanti: i 50 milioni dovrebbero essere distribuiti tra Roma (a cui sarebbero destinati 11,6 milioni), Napoli (8,9 mln), Milano (5,5,) Bari (4 milioni), Torino (3,8), Genova (2,6), Bologna (1,6), Firenze (1,5) Venezia e Verona (entrambe poco più di un milione). Palermo è seconda solo alla capitale: al capoluogo siciliano sono destinati ben 6,1 milioni per i richiedenti più indigenti. Il dato relativo a Catania, invece, è più basso: 2,1 milioni di euro.
Peccato che, a distanza di due anni, l’erogazione del sussidio non sia mai avvenuta. In nessuna città: un monitoraggio effettuato da Caritas Italia e Save the Children rivela come tale erogazione debba attraversare filtri talmente intricati che mostrano il fianco a inevitabili ritardi.
Raffaella Milano di Save the Children si rivolge direttamente al nuovo governo: “Chiediamo a Renzi di fare arrivare a destinazione, senza ulteriori ritardi, in tutte le città oggetto della sperimentazione, i fondi stanziati da più di due anni per il sostegno alle famiglie in povertà”. Dito puntato contro le lentezze della burocrazia, e attenzione particolare per l’impoverimento crescente che ha colpito i bambini: 1 minore su 10 vive in condizioni di povertà assoluta.
 
E ristagnano le contraddizioni: i requisiti per la nuova card prevedono per i richiedenti la perdita del lavoro nei 36 mesi precedenti alla richiesta (o, in alternativa e per lo stesso periodo di tempo, aver dichiarato reddito inferiore a 4.000 euro come conseguenza a un contratto di lavoro) oppure un Isee di 3.000 euro all’anno, un patrimonio mobiliare di valore inferiore a 8.000 euro, un’abitazione con valore Ici inferiore a 30.000 euro e il mancato possesso di veicoli di recente acquisizione. Tutte queste attestazioni escludono, giocoforza, chi si è ritrovato povero da poco tempo e magari ha un patrimonio immobiliare dignitoso e un veicolo acquistato da poco, e chi – bontà sua – è miserabile da talmente tanto tempo che un lavoro non l’ha mai avuto: figuriamoci se può averlo perso da 36 mesi.