#Ijf14 Cécile Kyenge al QdS: “Ue, stop austerità e salario minimo garantito”

PERUGIA – Arriva in sordina, quasi camminando in punta di piedi, l’ex ministro delle Pari opportunità Cécile Kyenge. Composta nella sua giacca di velluto viola, non sembra affatto sentire il peso di essere stata il primo membro di colore di un Governo della Repubblica italiana. Ad attenderla all’Hotel Brufani un drappello di giornalisti e addetti ai lavori (i volontari con il pass viola che con instancabile passione sono l’anima di questa VIII edizione del festival internazionale del giornalismo). L’onorevole, candidata con il Partito democratico al Parlamento europeo, avrebbe dovuto presenziare all’appuntamento della mattina “Ho sognato una strada. I diritti di tutti”. Imprevisto dell’ultimo momento, è giunta nel Capoluogo umbro alle 18 in punto, per prendere parte all’incontro su “Migrazione, integrazione e diversità nei media”. Cambia la denominazione, ma la sostanza no: i diritti. Soprattutto quelli degli ultimi, i poverissimi del Sud del mondo che guardano all’Italia come l’unica porta di accesso alla speranza. 
La sala dei Priori è gremita, e attende solo lei: ciononostante la deputata Pd decide di concedere al Quotidiano di Sicilia un’intervista in esclusiva.
 
Onorevole Kyenge, i migranti arrivati nei primi 4 mesi dell’anno hanno superato quota 25.000. L’operazione “Mare nostrum” sta dando buoni frutti, ma la sensazione è sempre la stessa: e cioè che l’Italia sia stata lasciata sola dall’Europa. Andare a recuperare i migranti a largo delle coste è un passo avanti, ma resta l’ipocrisia di fondo di un’Unione incapace di impostare politiche transfrontaliere comuni, nonostante comuni siano le frontiere. Considerando che, statistiche alla mano, la maggior parte dei "disperati" fugge dall’Italia, non sarebbe meglio andarli a prendere direttamente sulle coste del Nord Africa, assegnando a ciascun Paese membro la responsabilità per una quota proporzionale alle sue dimensioni e popolazione, eliminando così l’ignobile mercimonio di vite umane?
“Si, questa domanda contiene un problema molto importante: l’Unione europea non può più essere una comunità soltanto economica, ma deve diventare una comunità politica, sociale e culturale. Purtroppo fino a oggi si è lavorato molto sulla parte finanziaria. Le debolezze partono proprio da qui, dal fatto che non esiste quella vera integrazione comunitaria alla base del progetto originario. La solidarietà e la corresponsabilità, intesa come equa ripartizione delle responsabilità, non esistono”.
 
Quindi, cosa fare?
“In questo momento il nostro Paese sta conducendo l’operazione Mare Nostrum, e affronta quotidianamente il problema dell’immigrazione, ma il quadro resta complesso. L’Italia dovrebbe farsi portavoce per cambiare l’Unione europea: cambiamo l’approccio della politica economica, entriamo in quella che si chiama integrazione culturale e sociale”.
 
Anche perché, diciamoci la verità, per tanti migranti l’Italia è solo una terra di passaggio, il ponte per raggiungere le mete più ambite del Nord Europa. Ancora una volta, l’ipocrisia. Scaricare tutto sul nostro Paese non risolve il problema.
“Questa è la parte finale di un percorso che l’Unione deve fare, quello di un’integrazione politica, culturale, sociale: vuol dire avere una politica estera comune molto forte. Non è l’Italia, non è la Spagna, non è la Grecia che deve andare a cercare gli accordi bilaterali singolarmente con i Paesi del Mediterraneo, ma è l’Unione europea. E’ necessaria anche una politica di difesa comunitaria: non possiamo lasciarla a ogni singolo Paese. Se si vuole creare davvero una comunità, non possiamo più puntare sulla politica fallimentare dell’austerità, dobbiamo elaborare un’altra politica”.
 
Quindi possiamo dire che l’ondata di populismi antieuropeisti, travolgente in Italia e non solo, si può sconfiggere con un’Europa più unita, che riparta dai diritti?
“Si, la ricetta è un’Europa più unita. Un singolo Paese, come stiamo già vedendo adesso, sarebbe in difficoltà, significherebbe lasciare i problemi così come sono, sarebbe chiedere all’Italia di affrontare da sola questioni di portata internazionale come quella dell’immigrazione. Invece, se noi vogliamo veramente andare avanti, come dicevo prima, dobbiamo puntare su una comune politica estera e di difesa, perché solo così possiamo far fronte a livello internazionale a tutti i problemi del Mediterraneo e del Medioriente. Non possiamo continuare lamentarci, dobbiamo andare oltre”.
 
Un’ultima domanda. Qualora venisse eletta al Parlamento europeo, qual è la principale istanza di cui si farebbe portavoce a Strasburgo?
“La prima cosa sarebbe il salario minimo garantito, per il quale è necessaria una legge dell’Unione europea. In questo modo potremmo garantire il diritto di ogni lavoratore, ma anche puntare verso un welfare generativo, cioè la possibilità di invertire l’approccio comunitario: non più dall’Europa verso i territori, ma dai territori verso l’Europa. Per risolvere la crisi economica è necessario utilizzare anche il capitale umano: è il punto di partenza dal quale ricostruire un senso forte di comunità”.
 
Antonio Leo
Nostro inviato