CATANIA – Provate ad inserire il vostro nome e cognome su google e a spulciare i risultati; potreste trovarne qualcuno che non è di vostro gradimento e potreste desiderarne la rimozione. Quale sarebbe l’esito della vostra richiesta? Con buona probabilità verrebbe accolta e vi raccontiamo perché. Di martedì scorso la notizia che “gli utenti di internet hanno il diritto di chiedere a Google di cancellare definitivamente i propri dati personali dal motore di ricerca più usato del web”.
A stabilirlo la Corte di Giustizia europea, accogliendo la querela di un cittadino spagnolo, e stabilendo che ogni individuo ha il diritto “di essere dimenticato” in certe circostanze. In modo particolare, questo diritto va applicato quando i dati “appaiono inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi in relazione allo scopo per i quali sono stati pubblicati”. Attenzione, quindi, se siete dei “personaggi pubblici” l’interesse dei potenziali lettori ha la meglio sulla vostra privacy (nel senso più largo del termine). Secondo la Corte, le norme della Ue prevedono che “un motore di ricerca su internet sia responsabile per la processazione dei dati che contiene”.
La risposta da parte di Google non si è fatta attendere: “Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale. Siamo molto sorpresi che differisca così drasticamente dall’opinione espressa dall’Advocate General della Corte di Giustizia Europea e da tutti gli avvertimenti e le conseguenze che lui aveva evidenziato. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni”.
Il verdetto delle causa ha radici nel “lontano” 1998, quando un quotidiano spagnolo pubblica la notizia relativa alla vendita tramite asta di alcuni immobili appartenenti a González, stabilita in seguito ad un procedimento esecutivo per debiti contratti con il sistema previdenziale. Nel 2009, il diretto interessato contatta l’editore della testata, chiedendo la cancellazione dell’articolo; la vicenda è archiviata ma permangono le notizie sul motore di ricerca. La richiesta viene respinta, ma lo spagnolo non demorde e si rivolge alla divisione spagnola del motore di ricerca, che chiama in causa la sede californiana in quanto fornitrice del servizio. A metà 2010 il direttore dell’Aepd (Agencia española de protección de datos) ordina a Google Spain e Google Inc. la rimozione dei dati in questione dalle pagine dei risultati, ma il motore di ricerca chiede l’annullamento della sentenza impugnandola dinanzi al giudice; l’epilogo lo conosciamo: le nostre “irrilevanti” defaillance avranno un pubblico più ristretto. Amen.