PALERMO – In Italia solo 1 bambino su 5 può accedere a un servizio per la prima infanzia. Un dato distante dall’obiettivo europeo di 1 bambino su 3. A denunciarlo e a ribaridre la necessità di adeguate politiche di governo a sostegno dei servizi alla prima infanzia, è la ricerca “Buone volontà utili per costruire qualità e sviluppo sostenibile nei nidi”. Uno studio su trenta asili nido del privato sociale e trenta a gestione pubblica, condotta dalla Fondazione "Aiutare i bambini" e realizzata dall’Istituto degli Innocenti di Firenze.
I campioni sono stati analizzati e valutati secondo tre parametri: la qualità del servizio offerto, i costi di gestione e le rette richieste alle famiglie. Obiettivo: da un lato cogliere elementi di criticità per sviluppare nei soggetti coinvolti atteggiamenti di maggiore consapevolezza e promuovere un miglioramento del loro operato, dall’altro evidenziare gli elementi più positivi di ciascuno dei due sottocampioni per favorire una “contaminazione” reciproca.
I risultati dello studio, presentato il 5 giugno a Palazzo Montecitorio, evidenziano una sostanziale omogeneità tra i due "campioni" (i nidi d’infanzia del privato sociale e quelli a gestione pubblica). I servizi del privato sociale presentano un punto di forza legato al maggior numero di giorni di apertura all’anno (238 giorni contro i 212 del campione dei servizi pubblici). Inoltre questi servizi lavorano maggiormente sulla cura e le attenzioni alle relazioni, riuscendo anche attraverso il volontariato a coinvolgere figure con professionalità specifiche (legali, psicologi, pediatri), che svolgono una funzione importante di ausilio e sostegno soprattutto nei confronti delle famiglie in situazione di difficoltà socio economica e culturale.
Il quadro peggiore si presenta al Sud e nelle Isole. In particolare lo studio riporta dati specifici per quanto riguarda costi di gestione e servizi. Il valore medio della retta massima è qui di 349,09 euro, contro una media nazionale di 459,55 euro. Il costo medio orario di 3,78 euro, meno della media italiana pari a 4,9 euro. Ma costi più bassi si traducono spesso anche in servizi più scadenti. Il numero di bambini affidato ad ogni educatore è, infatti, più alto in assoluto al Sud: 7,11 ciascuno, contro i 6,12 del Centro e i 6,89 del Nord.
Rispetto al dato dei giorni di apertura, mentre il Nord si allinea con la media nazionale, pari a 227 giorni, tra il Centro e il Sud si apre una forbice che vede i nidi del Centro aperti per un numero medio annuale di 213 giorni, mentre quelli del Sud 243.
La frequenza media giornaliera è di 7 ore a livello nazionale, 7 e tre quarti al Nord e 6 e 1 quarto al Sud. Probabilmente la frequenza maggiore nelle aree del Nord e del Centro può essere riconducibile ad un maggiore coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro. I nidi, infatti, rappresentano una fondamentale risorsa per la conciliazione di tempi di cura e tempi di lavoro.
Ma il dato forse più interessante è l’incidenza della spesa per il personale impegnato in funzioni operative (educative e non) sul costo totale di gestione, che rappresenta in media il 67,7%. Al Sud e nelle Isole il dato scende sotto il 50%. Un dato preoccupante se si pensa che la funzione educativa è assolutamente centrale nel funzionamento dei nidi e costituisce il principale elemento di qualità dell’offerta, anche se non va dimenticato che al Sud si abbassa anche il costo del lavoro. Qui, infatti, il costo medio per ora del personale educativo è pari a 9,15 euro, mentre la media nazionale è di 15, 87 euro con un picco di 20,67 euro nel Centro.