Per un’industria efficiente e competitiva

ROMA – La crisi della raffinazione:  una crisi annunciata. Situazioni come quella attuale di Gela sono conseguenza della disattenzione dei governi sia a livello nazionale che europeo, sordi in questi anni all’appello lanciato dagli operatori del settore della raffinazione. Il semestre italiano della presidenza dell’Ue è, però, una buona occasione per puntare a un’industria della raffinazione efficiente e competitiva.
Sull’argomento interviene il presidente dell’Unione petrolifera Alessandro Gilotti.
Forte crisi per l’intero settore della raffinazione con la grave conseguenza della perdita di posti di lavoro e soprattutto È di ieri la notizia che i consumi petroliferi continuano a scendere, c’è la possibilità che la situazione possa migliorare?
“I numeri sono impietosi. Nei primi sei mesi di quest’anno i consumi petroliferi sono stati pari a circa 28 milioni di tonnellate, con una perdita di oltre 1 milione di tonnellate rispetto al 2013 che si vanno ad aggiungere ai 32 milioni di tonnellate persi negli ultimi dieci anni. Ciò vuol dire che nell’intero 2014, se tutto va bene, potremmo arrivare a consumare intorno ai 56 milioni di tonnellate. La nostra capacità di raffinazione è attualmente di 98 milioni di tonnellate e dunque avremmo un eccesso di oltre 40 milioni di tonnellate, ossia l’equivalente di 6-7 raffinerie come quella di Gela, che le esportazioni non riusciranno mai a compensare”.
La situazione a Gela è molto grave. Ci sono responsabilità specifiche?
“La situazione è ormai a un punto di non ritorno e l’avere sinora ignorato il problema ci ha portati dove siamo oggi. Ciò che sta accadendo a Gela, sicuramente preoccupante e doloroso, è solo la punta di un iceberg e il naturale epilogo della mancanza di una seria politica energetica e di un totale disinteresse a livello nazionale ed europeo. Tutti gli appelli e gli allarmi che abbiamo lanciato in questi ultimi anni sulla grave crisi della raffinazione sono rimasti inascoltati e regolarmente caduti nel vuoto o liquidati con una alzata di spalle da politici, sindacati e opinione pubblica”.
Il settore è in forte crisi e alcune raffinerie hanno già chiuso. Cosa dobbiamo ancora aspettarci?
“Negli ultimi tre anni sono già state chiuse 4 raffinerie, con la perdita di migliaia di posti di lavoro, ma ciò non è servito a riequilibrare il sistema che continua a lavorare a tassi inferiori al 70%, margini negativi e perdite che, sempre negli ultimi tre anni, sono state pari a 4 miliardi di euro (7 miliardi dal 2009). È chiaro che parlare di investimenti in questa situazione non è possibile, anche perché servirebbero non meno di 10 miliardi di euro entro il 2020 – che nessuno oggi ha – per adeguare il nostro sistema di raffinazione alla normativa comunitaria che si è tradotta in un vero e proprio svantaggio competitivo che non riusciremo certo a colmare continuando ad autoimporci vincoli e obblighi che altri non hanno. Ma nel farci del male da soli siamo bravissimi”.
Quali sono i rischi maggiori per il Paese?
“Stiamo correndo un rischio molto alto sia in termini economici che occupazionali, che investe tutte le raffinerie, anche le più moderne ed efficienti, e non solo quella di Gela. Una seria politica energetica dovrebbe aiutare a razionalizzare il sistema per concentrare le risorse su quegli impianti che possono avere un ruolo nel nuovo contesto di forte competizione internazionale, anche perché economicamente non ha molto senso tenere in vita attività che non hanno prospettive industriali, a meno che non sussistano particolari condizioni di mercato e geografiche, nonché di possibili riconversioni, che possano garantire un equilibrio economico delle stesse.
Il baricentro dei consumi globali si è spostato sempre più verso Oriente e di conseguenza anche molte produzioni e flussi commerciali. Si è messo in moto un vero e proprio processo di delocalizzazione industriale verso paesi che non hanno gli stessi vincoli sociali e ambientali europei, con il rischio di vedere crescere la nostra dipendenza dalle importazioni non solo di greggio ma anche di prodotti finiti (benzina e gasolio), senza alcun vantaggio in termini ambientali”.
Cosa si potrebbe fare e cosa potrebbe fare il Governo Renzi nel semestre di presidenza europea?
“Qualcosa si potrebbe fare, cercando di minimizzare i costi di uscita per coloro che saranno costretti a chiudere, soprattutto per quanto riguarda la bonifica e il recupero dei siti, ridurre i costi energetici che sono una voce importante per una raffineria che è un’industria energivora, sfruttare al meglio la possibilità di accedere agli aiuti di Stato per gli investimenti ambientali come prevede la nuova Direttiva Ue. Uno strumento sicuramente utile a correggere l’attuale scalino normativo.
Il semestre italiano di presidenza UE è un’occasione da non mancare per riportare il dibattito nella giusta direzione: meno ideologico e più realistico. I primi segnali ci sono considerato che la raffinazione, seppure tra mille resistenze, è stata inserita nel programma presentato nelle scorse settimane dal premier Renzi a Strasburgo. Bisognerà vedere se alle parole seguiranno i fatti e soprattutto la tempistica delle misure necessarie. Occorrerà fare molta attenzione alla gestione delle inevitabili ricadute sociali che ne deriveranno per non creare ulteriori e più gravi difficoltà nel futuro. In questo i sindacati dovrebbero essere dalla parte delle aziende e non pretendere il mantenimento in vita di attività non più sostenibili.
Il petrolio però è e rimarrà la prima fonte di energia – almeno fino al 2035 – e sarà insostituibile nel settore dei trasporti dove le alimentazioni alternative potranno arrivare a coprire una quota del 10-15%. Poter contare su un’industria della raffinazione efficiente e competitiva è pertanto essenziale anche ai fini della nostra sicurezza energetica e dovrebbe essere una delle priorità del Governo.