Qual è il suo attuale impegno?
“Dopo la cessione della Fratelli Averna, sto valutando come valorizzare al meglio la mia esperienza quarantennale e quella della mia famiglia. Da un anno sono vice presidente del Credito Siciliano. È una banca vicina alle imprese, ragiona sulla mia stessa lunghezza d’onda ed è nelle mie corde. Nonostante la crisi, l’impegno dei dirigenti è di stare vicini alle imprese, guardando l’imprenditore sano e aiutarlo”.
Cosa si dovrebbe fare per fermare la discesa del Pil siciliano?
“La domanda è impegnativa. Non c’è dubbio che stiamo vivendo una crisi strutturale, l’Europa sta perdendo competitività, l’Italia è il vagone di coda e la Sicilia è uno dei vagoncini di coda dell’Italia. Siamo in una situazione in cui non tutto dipende dalle capacità della classe dirigente siciliana. Tuttavia c’è una mancanza di visione, sia della classe politica che di quella dirigente. Stiamo navigando a vista, non si guarda l’insieme. Abbiamo un grande asset sul quale potere lavorare per lo sviluppo del Sud, e in particolare della Sicilia: la nostra offerta turistica”.
Come si può valorizzare?
“Il presidente della Regione dovrebbe essere un esperto o circondarsi di esperti sul turismo, per decidere come sviluppare l’offerta. Ricordo che le nove regioni dell’obiettivo 1 avevano le stesse presenze turistiche delle Baleari, quand’ero vice presidente di Confindustria. La situazione non è cambiata, forse è peggiorata. Grandi manager mi dissero che l’offerta turistica si classifica in due modi: le località di grandissima attrattiva naturale e le zone che hanno una grande attrattiva storico-artistico-culturale. Mi dissero che noi siamo uno dei pochi casi al mondo in cui coesistono a livello straordinario le due caratteristiche: ‘Voi siete un paradiso!’ È una ventina d’anni che non abbiamo più un governo regionale che abbia una strategia precisa su questi temi. Si sono sperperate risorse per assistenzialismo e clientelismo”.
Qual è la terapia per uscirne?
“Consolidiamo i rapporti con i Paesi del Mediterraneo: la Sicilia è al centro e i flussi mercantili, il cui centro fino a vent’anni era l’asse atlantico, ora arrivano dall’Estremo Oriente. Cina, Singapore, Taiwan… entrano dal Mediterraneo e vanno verso l’Europa, incontrando Creta e la Sicilia. Bisogna fare della Sicilia il ponte logistico-commerciale. Però ho visto un piano trasporti della Regione con un numero spropositato di porti commerciali. Così non si fa massa critica, perché il costo di un porto commerciale moderno è altissimo. Massimo dovrebbero essere tre i porti su cui investire. Anche per gli aeroporti vale lo stesso discorso. E, a proposito, i costi dei trasporti sono più elevati rispetto alla media nazionale, non abbiamo alternative all’aereo, non esiste il treno per viaggiare verso l’Europa”.
Il Ponte sarebbe una soluzione?
“Mi battei per il ponte quando ero a Confindustria. Abbiamo perso 15 anni di tira e molla tra i governi. Ebbi una riunione con Mauro Moretti, ad di Ferrovie dello Stato: mi disse che senza il ponte non avrebbero investito nella zona da Potenza alla Sicilia. Il mercato della Lucania e della Calabria è modesto. Interesserebbe la Sicilia, ma non ci si arriva. Tantissimi dicono che non è una priorità, che si dovrebbe lavorare al miglioramento delle ferrovie preesistenti, ma il problema è che i treni moderni non possono essere divisi: non arriveranno mai attraverso i traghetti”.
Che fa la classe dirigente nei confronti degli amministratori?
“I governi regionali seguono il piccolo cabotaggio. Il momento magico fu Rino Nicolosi: con lui ci si poteva litigare, ma aveva una visione. Oggi l’onda su cui è arrivato il governo Crocetta è la problematica mafia/antimafia: costruire un governo su queste basi è riduttivo, bisogna fare dei progetti e avere una visione”.
La lotta antimafia dovrebbe farsi riattivando l’economia.
“Se invece di assumere alla Regione, si facessero vivere meglio le imprese siciliane e si invitasse ad assumere, si creerebbe occupazione vera e non fittizia”.
I cavalieri del lavoro dovrebbero proporre al governo le riforme della Pubblica amministrazione, dell’energia, del turismo…
“Possiamo dare delle idee e fornirle al dibattito dell’opinione pubblica, dando la nostra disponibilità allo sviluppo in futuro delle proposte. Sulle riforme molte cose non vengono dette. Come i silenzi del sindacato sul Jobs Act. In Italia in questi quarant’anni è stato più facile licenziare 1.000 persone che una sola: prendiamo Termini Imerese, dove la Fiat ne ha praticamente licenziati 1.300 d’emblée. Sul concetto di licenziamento per giusta causa di un singolo lavoratore decide il giudice, che magari non è mai entrato in azienda. Inevitabilmente, utilizza i suoi schemi culturali e ideologici per decidere. Ma nel caso di dipendenti che hanno danneggiato gli impianti e sono stati reintegrati: è giusto? E quelli che rubavano i bagagli in aeroporto? Il tribunale ha reintegrato anche un impiegato che ha tirato un portacenere in testa all’imprenditore. Quali sono le conseguenze? La riduzione degli investimenti esteri, perché nel mondo anglosassone non esistono queste cose, e il crescere a dismisura del lavoro nero: è ciò che abbiamo cercato di contrastare con Antonio D’Amato, ex presidente di Confindustria e attuale presidente nazionale dei Cavalieri del lavoro, perché quello è il vero discrimine tra legalità e illegalità. I sindacati nicchiano. Bisogna combattere il lavoro nero. Ma si deve anche rendere flessibile il regolamento. L’unico distinguo per me è il licenziamento della donna che rimane incinta: su quello sarei durissimo”.
Quale pressione dovrebbe fare la classe dirigente?
“La classe dirigente è debole. Faccio un esempio: a Caltanissetta, anni fa, abbiamo avuto grossi problemi di approvvigionamento idrico, l’acqua arrivava una volta a settimana. Una sera, accesi la radio e la prima notizia della Rai era che a Modena i cittadini avevano occupato il Comune per la mancanza d’acqua. In realtà era solo un ritardo di poche ore dei lavori di ripristino della rete idrica. Ma lì i cittadini del quartiere occuparono il Comune, mentre noi per mesi avevamo l’acqua una volta la settimana: era diventata la normalità. Con questo intendo parlare del concetto di controllo sociale: i cittadini che si alzano e quando l’istituzione (il Comune, la Regione, lo Stato e l’Europa) non soddisfa, protestano”.
Ma il singolo cittadino non è organizzato, è la classe dirigente che è organizzata e potrebbe muoversi.
“I cittadini esercitando pressione possono fare protesta, ma questa protesta dovrebbe essere fatta propria dalla classe dirigente e dovrebbe essere trasformata in una proposta. Ad esempio, l’acquedotto del Blufi avrebbe dovuto risolvere i problemi della provincia di Caltanissetta, ma non è stato mai completato. Hanno fatto una traversa, ma non hanno fatto poi l’invaso. Dovremmo far sentire la nostra voce”.
La sezione siciliana dei cavalieri ha in animo di mettere insieme un progetto di soluzioni per la Sicilia e presentarlo alla Regione?
“Noi intanto abbiamo un tema nazionale: la competitività. Abbiamo eletto Antonio D’Amato alla presidenza nazionale per spingere sulla competitività dell’Europa e dell’Italia. I cavalieri del lavoro comunque non sono organizzati come Confindustria, ma possono certamente dare delle idee alla politica”.