La Rai, com’è noto, è un carrozzone che si mangia ogni anno 2,5 miliardi, di cui 1,7 miliardi provenienti dal canone. è vero che un terzo di coloro che hanno l’obbligo di pagare il canone non lo paga, ma è anche vero che i due terzi che lo pagano non sono per nulla soddisfatti del servizio pubblico.
La Rai ha quasi dodicimila dipendenti contro meno di quattromila della concorrente Mediaset. Ha circa duemila giornalisti dislocati fra la sede centrale, le 24 sedi periferiche, dirette dall’ottimo Vincenzo Morgante, e le sedi estere.
In quest’analisi non è in discussione la capacità professionale dei giornalisti Rai, soprattutto di quelli che stanno al fronte con inchieste, approfondimenti e dibattiti. è in discussione quell’altra parte di giornalisti che fa tutto tranne il proprio lavoro.
All’interno del carrozzone, infatti, non prevale sempre il merito, ma spesso la raccomandazione. Vi sono i protetti dei politicanti senzamestiere che spesso soverchiano su quelli bravi. È proprio qui il nocciolo della questione. In Rai, quasi sempre e salvo notevoli eccezioni, il merito è sconosciuto con notevole danno a utenti e cittadini.
La vera questione è a monte di quella che rappresentiamo e cioè che così com’è la Rai non rappresenta la risposta al vero fabbisogno di servizio pubblico. Sarebbe perciò indispensabile una riforma che consentisse di cedere due dei tre canali al mercato e mantenesse un canale esclusivamente finanziato dal canone che non insegua più Auditel.
L’opposizione al raggruppamento di tutte le testate in solo due è l’indice che la mangiatoia si vuole mantenere così com’è. Una mangiatoia estesa a tantissimi altri canali televisivi della Rai e a un insieme di programmi radiofonici, molti dei quali, per la verità, sono di ottimo livello qualitativo.
La radio, nonostante le cassandre, è oggi un vero strumento di informazione, anche perché vi è un’aspra competizione di tanti canali privati che hanno aumentato il loro tasso di qualità.
Attendiamo sul ricorso della Rai, prima indicato, la posizione ferma da parte del Governo che non deve farsi sopraffare da miseri giochi di potere e destituisca chi non fa l’interesse generale.