Vi sono altri due ceti che, direttamente o indirettamente, favoriscono le mafie: quello politico di bassa lega e l’altro burocratico di altrettanta bassa lega. I politici senza etica si finanziano partecipando al banchetto nel quale la materia prima sono le mazzette. I burocrati, soprattutto i dirigenti disonesti, tengono il sacco per arricchire le proprie tasche.
Le infiltrazioni mafiose nel mondo degli affari non riguardano solo gli appalti, bensì tutte le altre attività, dalla grande distribuzione ai piccoli esercizi che servono per imbiancare le risorse finanziarie, ovvero per trasformare il nero in danaro ufficiale.
Il meccanismo è noto. Si tratta di individuarlo con quel sistema di prove, fra cui le benemerite intercettazioni ambientali che consentono di identificare i soggetti dediti al malaffare.
Nel settore dei lavori pubblici, spesso vi è un’anomalia consistente nel fatto che il progettista di un’opera è anche il direttore dei lavori. Però, questa anomalia è in via di esaurimento.
La lotta alla corruzione è stata inserita nella legge 190 del 2012 con la quale si obbligano tutte le pubbliche amministrazioni, di qualunque livello, ad inviare all’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) una relazione sull’attività anticorruzione entro il 31 dicembre di ogni anno.
Le inchieste interne che ogni responsabile anticorruzione dovrebbe aprire riguardarebbero le inefficienze, dietro cui si nasconde la corruzione.
Quando un burocrate o un dirigente non fa circolare i procedimenti, per arrivare nel tempo più breve all’emissione o alla negazione dei provvedimenti richiesti, il sospetto di questo comportamento nasce spontaneo.
Perché non adempiono al proprio dovere che è quello di evadere con la massima rapidità le richieste di cittadini e di imprese? Forse aspettano la telefonata che chieda il favore in modo che si possano accreditare?
O forse hanno dimenticato i precetti costituzionali secondo cui ogni dipendente pubblico ha il dovere di adempiere alle funzioni con disciplina e onore (art. 54 della Costituzione). O forse hanno dimenticato che i pubblici uffici sono organizzati (…) in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione (art. 97).
Tre casi clamorosi di corruzione hanno colpito il nostro Paese: il Mose, l’Expo e, per ultimo, Roma Capitale. Ma ve ne sono centinaia, forse migliaia, che non vengono alla ribalta dell’opinione pubblica. è perciò indispensabile creare gli anticorpi che agiscano all’interno di ogni ente.