La Libia spegne l’hub energetico Sicilia

PALERMO – In Libia c’è “un crogiolo di interessi”, come l’hanno definito Karim Mezran e Nicola Pedde su Limes, che miscela, tra le svariate presenze, richieste locali e tribali con esigenze internazionali e ragioni economiche ed energetiche. Le bandiere dell’Isis nella terra che fu di Gheddafi, le decapitazioni di 21 egiziani copti, i raid di risposta dell’Egitto, le minacce all’Italia, la fuga dei diplomatici italiani ancora di stanza a Tripoli, sono soltanto gli ultimi segnali di un vicino energetico ridotto allo stremo dell’affidabilità.
Il fattore Libia è un complesso groviglio geopolitico, che lasciamo sbrogliare agli esperti di politica internazionale. Resta da dirimere, in tempi ragionevolmente brevi, anche un altro aspetto che ci riguarda da vicino e cioè la fornitura di gas dal vicino nordafricano. Infatti, sebbene non ci siano ancora certezze sull’impiego dei 5mila militari promessi dal premier Renzi per agevolare la risoluzione della crisi, appare certo che l’Italia farà la sua parte per difendere quelli che sono i suoi interessi che hanno un nome e un cognome. Il gasdotto Greenstream dal terminale di Mellitah, gestito da una società mista che comprende l’Eni e la Libia, fornisce all’Italia 17 milioni di metri cubi di gas al giorno ed è il più lungo gasdotto sottomarino mai realizzato nel Mediterraneo, che arriva in Italia passando da Gela. Proprio da qui, e via Sicilia, nel 2013 l’Italia ha importato il 9,2% del totale del gas nazionale.
A rischio, però, ci sono anche i grandi progetti coltivati da Scaroni, ad del cane a sei zampe, che per l’area Mediterranea aveva previsto “un corridoio Nord-Sud che è un’alternativa a quello Est-Ovest e con il mare del Nord” suggerendo all’Europa di connettersi attraverso “tutta la rete di trasporto e gli stoccaggi, basandosi su un quadro regolatorio comune”.
E non solo. La scorsa estate un gruppo di esperti costituito dall’Enea, presieduto da Alessandro Ortis (Presidente degli Stati Generali dell’Efficienza Energetica e già Presidente dell’Autorità per l’Energia), aveva valutato alcune azioni potenziali da compiere per il loro potenziale di sviluppo a favore delle pmi e della Pubblica Amministrazione in documento intitolato “L’Italia, la UE ed uno sviluppo sostenibile integrato nell’area del Mediterraneo”. “In linea con le previsioni della Commissione Europea, – si legge nel documento – la corretta trattazione delle tematiche energetiche deve tendere anche al consolidamento e al potenziamento delle infrastrutture da impegnare per il flussi e gli scambi con i Paesi limitrofi ed i loro continenti di appartenenza (area del Caspio, Medio Oriente, Nord Africa compresi)”.
 
La logica è molto semplice: “i paesi del Mediterraneo e i continenti di appartenenza sono in una posizione di complementarietà energetica: da un lato (a sud ed a est del bacino) la disponibilità di materie prime, un crescente mercato di potenziali consumatori e mercati energetici nazionali non ancora liberalizzati; dall’altro (l’Ue) un consolidato sistema industriale, con un assetto regolatorio e normativo stabile ed un avanzato livello delle tecnologie, ma ancora fortemente dipendente dall’estero per le fonti di produzione”.
Peccato che questi ragionamenti potrebbero restare soltanto sulla carta. Lo confermano gli ultimi dati degli analisti finanziari che hanno stimato come la produzione di petrolio in Libia sia scesa attualmente a 180mila barili di petrolio al giorno contro i 300-350mila di fine 2014, soprattutto a causa dell’esplosione di gennaio tra i campi di Sarir e Mesla.