Patent box, ecco la tassazione agevolata per i beni immateriali

PALERMO –  Manca solo il decreto attuativo per dare il via al Patent box. La disciplina, già nota all’Estero da alcuni anni e introdotta nel nostro ordinamento dalla L. 190/2014, prevede un regime opzionale di tassazione agevolata che consentirà di escludere dal reddito imponibile il 50% degli utili derivanti dallo sfruttamento di alcune tipologie di beni immateriali d’impresa, tra cui spiccano i brevetti e i marchi. Proprio in relazione a quest’ultimi si può osservare la funzione disincentivante voluta dal Legislatore al fine di evitare che le imprese vadano a delocalizzare i marchi in Paesi con minore carico fiscale.
L’opzione è riservata ai soggetti che svolgano attività di ricerca e sviluppo, con l’estensione della platea anche ai rapporti nati da contratti di ricerca con università ed enti correlati. La disciplina prevede un previo accordo con l’Agenzia delle Entrate, seguendo le regole inerenti al ruling internazionale. Tale opzione vincola le parti per cinque esercizi ed è irrevocabile.
Per quanto concerne il vantaggio fiscale concretamente realizzabile, questo si sostanzia in una detassazione pari al 50% dell’ammontare relative ai beni immateriali. Per i primi due anni dell’opzione tuttavia il raggio di applicazione è più limitato: la detassazione sarà inizialmente per il 30% e il 40%.
Tale agevolazione è estesa anche alle plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immateriali in questione. Una previsione dal punto di vista pratico molto importante, perchè è in tali casi che il reale valore fiscale dei beni emerge. Tuttavia per poter godere del beneficio l’unico requisito richiesto è che almeno il 90% del corrispettivo derivante dalla vendita transazione sia impiegato dalla società prima della chiusura del secondo periodo di imposta successivo a quello nel quale si è verificata la vendita. Tali proventi tuttavia sono soggetti ad un vincolo di destinazione, volto all’impiego nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali.
Il punto delicato dell’innovazione va registrato proprio nel decreto attuativo, al momento in fase di preparazione presso il MEF e il Ministero dello sviluppo economico. La reale portata del Patent box si vedrà soprattutto nei criteri di ammissibilità dei costi che il decreto ministeriale dovrà stabilire. È ancora incerto se si prenderanno in considerazione i criteri valevoli per la disciplina del credito d’imposta sulla Ricerca e lo Sviluppo, oppure quelli stabiliti dal Regolamento Ue n. 651/2014. Se sarà quest’ultimo a prevalere sicuramente il beneficio apportato alle imprese italiane non sarà di poco conto.
 
Dall’Ue arriva infatti una disciplina che incrementa di gran lunga il rapporto relativo ai beni immateriali, consentendo in linea di principio una detassazione maggiore.
I costi ammissibili secondo il regolamento europeo sono più numerosi e flessibili. Si va dalle spese di personale qualificato e non (ques’ultimi non rilevanti invece per la disciplina  R&S nazionale), ai costi per gli strumenti (collegati alle quote di ammortamento relative agli anni di utilizzo e la ricerca contrattuale).
È chiaro inoltre che optare invece per una assimilazione alla disciplina vigente per il credito d’imposta R&S, escluderebbe dal beneficio le imprese di piccole dimensioni, le quali per ovvie ragioni non sono in possesso di una struttura di ricerca e sviluppo adeguata.