Mario Resca: “600 nuove aperture tra i nostri associati”

Presidente Resca, quando nasce Confimprese?
“Nel 1998 per iniziativa di alcuni imprenditori del settore del commercio, che rappresentavano aziende con diversi punti vendita: all’epoca Cremonini, Autogrill, Arquati, Maggiore, per citarne alcune. Siamo nati perché le esigenze dei nostri affiliati, che operano appunto attraverso catene, sono diverse da quelle dei piccoli commercianti, i quali spesso temono la concorrenza dei grossi brand che offrono vantaggi in termini di economie di scala e di rapporto qualità-prezzo. Inoltre, chi opera attraverso punti vendita ha come obiettivo quello della crescita costante. E la crescita costante può realizzarsi unicamente attraverso regole di mercato e trasparenza. Oltre che attraverso una sburocratizzazione del sistema.
Spesso, però, le difficoltà di un piccolo commerciante possono ravvisarsi nella sua scarsa propensione ad innovarsi.
Certamente: se permane la mentalità secondo la quale apro il negozio alle 9 del mattino, lo chiudo alle 13, lo riapro alle 15 per chiudere alle 19, non si va da nessuna parte. Una battaglia che, ad esempio, ha fin da subito portato avanti Confimprese è quella relativa alle aperture sette giorni su sette, che è solo un vantaggio: le strutture ci sono, gli affitti sono pagati, si tratta solo di organizzare il personale. Così come ci siamo fermamente opposti al disegno di legge, la scorsa estate in discussione in Senato, che prevedeva la chiusura obbligatoria sei giorni all’anno per gli esercizi commerciali anche in località turistiche, una misura che si tradurrebbe in minore fatturato per gli operatori commerciali, minor gettito erariale e che vale ben il 4 per cento del volume d’affari, pari a circa 8 milioni di euro in meno per ciascun associato. Sono misure che, soprattutto in un momento come questo, vanno in controtendenza rispetto all’unica cosa che bisogna fare in un periodo di recessione: rilanciare i consumi. Aggiungiamo, poi, che il nostro è un Paese a fortissima vocazione turistica, per cui il danno sarebbe ancora più rilevante”.
I vostri affiliati hanno punti vendita sia a gestione diretta che in franchising?
“Sì. Anzi, proprio Confimprese ha avuto il merito di essere tra i promotori, nei primi anni Duemila, della legge sul franchising, un termine sconosciuto al codice civile italiano. Il franchising è uno strumento, non il fine: si aprono diversi punti vendita e la casa madre può decidere se aprirli in forma diretta o, appunto, in franchising, a seconda delle zone geografiche. Tuttavia le regole sono uguali per tutti: il franchisee deve uniformarsi alle disposizioni del franchisor. Su queste basi è nata Confimprese che rappresenta oggi oltre trecento marchi ed è in continua crescita, con l’adesione recente di catene come Disney Store o Kentucky Fried Chicken”.
Come rispondono i giovani al mondo del commercio?
“In questi ultimi anni si sta assistendo a un fenomeno crescente di giovani che, una volta conseguita la laurea, decidono di buttarsi nel mondo dell’imprenditoria, aprendo punti vendita con i marchi dei nostri associati. Si tratta di giovani che non provengono dal settore, che si mettono in proprio e che operano secondo gli standard di qualità e di servizio da noi indicati. Una scelta vincente. Pensiamo, ad esempio, nel mondo della ristorazione a marchi come Rossopomodoro: se io mi trovo in un’altra città, magari per turismo e voglio mangiare una pizza, è ovvio che se vedo un negozio con un logo che mi è familiare, entro tranquillamente. Insomma, si crea un rapporto di fiducia con il cliente. La stessa fiducia che porterà, nel corso del 2015, a oltre 600 nuove aperture per gli associati e alla conseguente creazione di più di 3 mila posti di lavoro”.
La struttura di Confimprese è, dunque, centralizzata.
“Sì. Non solo è centralizzata ma anche snella, con costi molto bassi, suddivisa fra le sedi di Milano e di Roma. Trattiamo direttamente con le aziende che si rivolgono a noi”.
 
Avete mai pensato di unirvi ad altre associazioni di categoria?
“Più volte abbiamo ricevuto avances da parte di altre associazioni. Tuttavia, una volta consultati gli associati, abbiamo deciso di mantenere la nostra identità e continuare a camminare da soli. Dopotutto chi fa parte di Confimprese ha delle esigenze peculiari: si tratta, ad esempio, di marchi italiani che operano anche all’estero e che, dunque, sono abituati a leggi di mercato oppure di aziende internazionali che hanno punti vendita in Italia, a maggior ragione non avvezze ad un mercato ‘ingessato’, anche dal punto di vista burocratico. Confimprese vuole fungere da stimolo a leggi di mercato e sburocratizzazione: la strada maestra per lo sviluppo e per rendere competitivo il nostro Paese”.
Sburocratizzare, però, significa anche riforma della Pubblica amministrazione. Avete dato qualche suggerimento al Ddl Madia?
“Più di uno. Ad esempio abbiamo proposto di uniformare a livello nazionale il periodo delle promozioni o dei saldi. Oggi ogni regione va per conto proprio. Invece se si stabilisse un periodo comune a tutti, anche gli stranieri avrebbero dei riferimenti temporali certi e, indipendentemente che i saldi siano a Roma, Milano o Catania, verrebbero a fare acquisti in Italia, stimolando così ripresa e sviluppo”.
L’opinione di Mario Resca sul Jobs Act: svecchierà il mercato del lavoro?
“Questo è l’obiettivo della norma. Ritengo che, se riprende l’economia (e qualche timido segnale in questo senso c’è), sia uno strumento che non può che aiutare”.
 

 
Trasmissione dati alla Pa urge riforma del sistema

Tornando al problema della burocrazia. Qual è secondo lei una questione da affrontare con urgenza?
“Un problema spinoso per il settore del commercio e, in particolar modo per le catene, è quello delle procedure amministrative che vanno, senza alcun dubbio, semplificate. Non esistono infatti procedure omogenee, tanto per l’avvio di attività, quanto per le comunicazioni di variazioni societarie o strutturali, e ci si deve orientare in una giungla burocratica che varia da comune a comune.
Come Confimprese riteniamo che il problema del sistema di trasmissione dati alla Pa debba essere affrontato a livello regionale o, ancor meglio, nazionale. Suggeriamo, ad esempio, l’adozione obbligatoria del portale di impresainungiorno.gov.it per tutti i Suap e tutte le altre amministrazioni che possono essere coinvolte. In tal modo i processi verrebbero fortemente standardizzati e sarebbe possibile, inoltre, monitoriare lo stato della pratica e individuare precise responsabilità in caso di ritardi e omissioni.
Tuttavia, uno studio condotto a luglio 2014 ha messo in evidenza un quadro variegato sull’utilizzo del sopracitato portale nazionale. Tra le province più virtuose Venezia e Bergamo, le meno virtuose in assoluto sono, invece, Bologna, Firenze e Cagliari”.
Quali problematiche segnalano in particolare, dai vostri associati nel relazionarsi con la Pa?
“Ci viene segnalata spesso l’incompletezza di molti strumenti in termini di modulistica e informazioni che rende spesso necessario un contatto diretto con il Comune in questione. Succede anche che gli strumenti in essere non funzionino e gli operatori non sappiano con quali altre modalità sia possibile inoltrare le comunicazioni alla Pa”.
 

 
Dal pubblico al privato un bagaglio di esperienze
 
Lei è stato anche Presidente e A.D. di un colosso come McDonald’s. Cosa può dirci di questa esperienza?
“Dal 1995 al 2007 e, proprio in questa veste, sono stato tra i fondatori di Confimprese. Sa dove ho aperto, in Italia, il primo ristorante a gestione diretta, dunque non in franchising? In Sicilia. Esattamente a Palermo. Pensi che gli americani non ne volevano sapere. Nella loro testa, come purtroppo in quella di tanti stranieri, la Sicilia era sinonimo di mafia e di scarsa sicurezza. Certo, qualche problemino l’ho avuto, ma io sono uno che parla chiaro. All’epoca all’inaugurazione del fast food di piazza Politeama venne il sindaco, lo stesso Leoluca Orlando che mi disse di stare tranquillo e mi incoraggiò ad andare avanti. Lo stesso fece, poco tempo dopo, Enzo Bianco. Questa era la mia tecnica: mi recavo sul posto dove volevo che ci fosse il punto vendita, contattavo personalmente il Questore, il Prefetto e il Sindaco, presentandomi con un marchio forte come Mc Donald’s e procedevo all’apertura del negozio”.
Contatto diretto con Questore, Prefetto e Sindaco per aprire punti vendita: anche questo, in fondo, è un modo per sburocratizzare. No?
“Certo. Anche se per tre anni ho voluto quasi togliermi uno ‘sfizio’, facendo parte del cosiddetto ‘apparato’. Nel 2008, infatti, sono stato nominato dall’allora ministro Sandro Bondi, direttore generale del ministero per i Beni e le Attività Culturali. Un triennio durante il quale posso dire di avere direttamente toccato con mano la burocrazia. Un incarico, però, nello svolgere il quale ho messo tutta la passione e l’esperienza accumulata in anni di settore privato. Mi sono occupato della gestione dei 450 musei dello Stato, che si trovavano in una situazione disastrosa. Ho redatto un piano triennale grazie al quale il numero dei visitatori è cresciuto, dopo anni di crisi, del 18 per cento. Però ho adottato la stessa metodologia utilizzata in Mc Donald’s: mi recavo personalmente e periodicamente a visitare i musei, parlavo e ascoltavo i miei sovrintendenti”.
Una forma mentis che si ritrova in Confimprese.
“Esatto: tutti devono avere le stesse possibilità e il diritto a non dover passare per le forche caudine di una burocrazia farraginosa e a volte corrotta”.