È noto all’opinione pubblica che il bilancio dei quotidiani viene coperto all’incirca per la metà dalla vendita di copie ed abbonamenti, mentre l’altra metà proviene dagli spazi venduti per pubblicità e comunicazione. Col crollo della vendita di copie cartacee il rapporto si è modificato nel senso che l’incidenza della pubblicità è diventata maggiore.
La concentrazione della raccolta pubblicitaria in pochi gruppi editoriali, uno dei quali quello indicato, ha ristretto fortemente la possibilità di accedervi delle testate regionali e locali che non si sono aggregate agli stessi, fra cui il gruppo L’Espresso e quello del Sole 24 Ore. Cosicché vi è una obiettiva condizione di subordinazione nel mercato, venendo meno i sani principi di concorrenza, strumenti che equilibrano la competizione tra i media.
Analoga riflessione riguarda il mondo delle televisioni, ove il duopolio Rai-Mediaset assorbe oltre l’80 per cento della pubblicità che è la linfa vitale per le emittenti regionali e locali.
Ecco da dove scaturisce l’indispensabile necessità di sostenere (non di aiutare) gli editori minori, sia come quotidiani che come televisioni, i quali non avrebbero diversamente la possibilità di sopravvivere economicamente.
Vero è che nella citata legge vi è un articolo che dice che i contributi saranno liquidati in base alla disponibilità, ma la comunicazione del quantitativo da liquidare va fatta ad inizio e non alla fine dell’anno, quando ormai l’editore non può fare alcuna manovra e si ritrova un bilancio in perdita e un indebitamento bancario pari al contributo che avrebbe dovuto ricevere ma non ha ricevuto. Con ciò viene commessa la violazione del principio di affidamento e forse un abuso di potere.
In questo quadro di sostegno all’editoria, dobbiamo citare la Legge 114/14 con la quale sono stati stanziati 52,5 milioni che vanno tutti agli editori maggiori per la ristrutturazione dei loro bilanci. Quindi non si capiscono le lamentele di tali editori quando ricevono contributi dallo Stato di grande entità, forse superiori a quelli destinati ad editori più piccoli.
Scusateci se vi abbiamo invischiato in questo scenario, ma la questione riguarda tutti voi, cioè l’opinione pubblica e il diritto di sapere. Tale diritto non viene soddisfatto da pochi, ma da tutti.