Crias, 10 milioni per non fare nulla

La cosa strana è che si parla tantissimo all’interno del governo siciliano di restringere i rubinetti del bilancio, di tagliare qua e là, ma della Crias si parla solo di sfuggita e comunque mai di soppressione. Il problema di questa struttura sono davvero tanti ed hanno colpe trasversali, da dividere tra i vari governi regionali che si sono succeduti e le stesse imprese artigiane.
La Crias si impernia attorno ad un fondo di rotazione: la Regione stanzia i soldi, la Cassa accetta le istanze degli artigiani che chiedono prestiti con tassi bassissimi (oggi il parametro è fissato attorno al 2 per cento). Essendo per l’appunto un fondo di rotazione il sistema dovrebbe essere quello di incassare le rate dei mutui contratti via via dalle imprese per poi reinvestirli. E qui scatta il primo problema: “Le imprese – dice Michele Marchese, uno dei componenti del consiglio d’amministrazione della Crias per conto delle organizzazioni di categoria – non hanno restituito questi soldi. La Crias si regola su una norma che dice che per prestiti inferiori ai 30 mila e 500 euro le imprese non devono presentare alcuna garanzia. Negli ultimi 15 anni questo tipo di situazione ha portato ad un debito delle aziende nei confronti della Cassa che ammonta ad oltre 70 milioni di euro. Ecco perché il fondo di rotazione non ha funzionato”.
Subito dopo emergono anche i limiti gestionali della Regione: “Di fatto la Crias non funziona – ammette Marchese – perché non ha più soldi da stanziare. Di contro la Regione è dal 2005 che non mette un solo euro nel capitolo destinato alla Cassa”. “La Regione con il suo silenzio, interrotto solo da fumose dichiarazioni di banche del Sud e accorpamenti fantasiosi con Ircac e Crias – dicono Camillo Bongiovì e Gabriele Urzì della Fiba Cisl – non ha di fatto contribuito a trovare una soluzione positiva della vicenda”. Ad aggravare tutto anche una pianta organica e gestionale della Crias che negli anni è cresciuta forse anche troppo.
Conta all’incirca 97 dipendenti, compresi dirigenti e figure similari. In base all’ultimo bilancio approvato nel 2003 (i bilanci 2004 e 2005 sono ancora arenati perché la Regione non ha riconosciuto alcune spese certificate dall’allora struttura dirigenziale, ndr) i soli dipendenti costano nell’arco di un anno, tra stipendi, imposte e contributi previdenziali, 6 milioni e 600 mila euro. Le varie sedi provinciali, per costi vivi di gestione (bollette, materiale di cancelleria, spese telefoniche, ecc….), costano invece quasi 3 milioni di euro. A questo punto una cosa sola è chiara: o si crede nella struttura, e quindi si investe, oppure tanto vale sciogliere tutto ed evitare ogni anno di spendere quasi 10 milioni di euro.
“Bisogna incrementare il fondo unico di rotazione – è il parere del deputato regionale Camillo Oddo –. Adesso le risorse a disposizione sono insufficienti a garantire l’erogazione del crediti per l’esercizio, per investimenti e per le scorte”.
Le organizzazioni di categoria denunciano attese lunghissime per l’esame di una pratica: “Ci vogliono 8 mesi, o anche un anno – dice Cetty Grasso, segretaria provinciale dell’Unione provinciale delle imprese artigiane di Catania – prima che un’azienda veda stanziati i fondi richiesti. Sono tempi assolutamente insostenibili per le aziende del settore”.