L’Italia scopre la piaga del “caporalato”

ROMA – Edilizia e agricoltura: è soprattutto in questi due settori produttivi che la piaga del caporalato ha preso piede, raggiungendo proporzioni tali da rasentare uno schiavismo in chiave moderna del tutto inaccettabile per una società, come la nostra che si professa civile. Ed è forse con un ritardo imperdonabile che adesso si tenta di intervenire, di arginare un fenomeno che continua a mietere vittime e che cammina a braccetto con la criminalità organizzata .
La tragedia della donna bracciante, Paola Clemente, 49 anni e madre di tre figli, morta nei campi di Andria, ha scosso indubbiamente tutta l’opinione pubblica e, al netto delle solite dichiarazioni di alcuni esponenti politici intrise di banalità e finalizzate solo ad una vergognosa speculazione dei fatti, ha dimostrato che il muro di gomma e di omertà attorno a queste realtà fatet di sofferenza e sopraffazione, può uccidere esattamente quanto le condizioni disumane cui sono sottoposti alcuni lavoratori.
Il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, ha parlato di un’attività ispettiva rafforzata su tutto il territorio nazionale “come mai fatto prima”. Ha rivolto poi un appello: “Chi sa, denunci. Non è semplice ma è fondamentale far scattare il meccanismo di denuncia dello sfruttamento lavorativo”. Ed in effetti, è proprio il silenzio, insieme con la mancanza di adeguati controlli, che ha impedito un censimento del caporalato che, solo a partire dal 2011, è diventato reato in Italia.
Martina ha poi parlato dell’esigenza di compiere un salto di qualità e di un progetto che dovrebbe partire l’1 settembre, relativo ad una sorta di certificazione “anti-caporalato” per tutte quelle aziende che, sottoposte a controlli regolari, riescano a dimostrare la tutela dei diritti dei loro lavoratori. Una certificazione, dunque, che attesti la “qualità” dell’impresa stessa, intesa come rispetto delle regole e dei diritti. Ma si tratterebbe comunque solo di un primo passo nel lungo cammino verso la legalità. Secondo la Cgil, infatti, il fenomeno coinvolgerebbe almeno 400mila persone, soprattutto donne ed extracomunitari.