Diritto alla salute degli stranieri

PALERMO – Assai spesso abbiamo parlato di integrazione degli stranieri, riferendoci all’acquisizione delle competenze linguistiche, alla ricerca di un lavoro, al radicamento sul territorio di approdo. Ma integrazione vuol dire anche altro. Infatti, sinonimo di integrazione, spesso sottovalutato, è rappresentato anche dall’accesso al sistema sanitario. Purtroppo in tal senso, come anche in molti altri parametri, la Sicilia lascia parecchio a desiderare.
Infatti, secondo i dati diffusi dalla Fondazione Leone Moressa, al 31 dicembre 2013 è possibile rilevare un tasso di dimissioni ospedaliere a carico di stranieri in Sicilia pari al 7,8%, un valore estremamente più contenuto rispetto a quello rilevato a livello nazionale pari al 9,7%, quindi inferiore di quasi due punti percentuali. Un valore assolutamente in linea con quello rilevato a livello nazionale è possibile da osservare in Lombardia (9,7%). Mentre è la Sardegna la regione in cui gli immigrati fruiscono in misura maggiore dei servizi sanitari, sempre in riferimento alle dimissioni ospedaliere (18,1%).
Gli stranieri incontrano numerosi ostacoli nell’accedere alle cure sanitarie. Ciò avviene in particolar modo per i programmi di prevenzione. Usufruire di cure sanitarie adeguate costituisce un problema per le barriere giuridiche che incontra chi richiede la cittadinanza e soprattutto, per gli immigrati senza documenti. Gli ostacoli culturali non sono meno rilevanti: la gestione del momento assistenziale può essere critica in ragione delle differenze linguistiche e culturali, mentre per alcune donne immigrate è la mancanza di medici di sesso femminile a determinare il mancato accesso alle cure sanitarie. Le istituzioni sanitarie identificano gli immigrati come soggetti particolarmente a rischio di esclusione sociale e conseguentemente, di marginalizzazione nell’accesso ai servizi sanitari.
Tra condizioni sanitarie e condizioni sociali degli immigrati intercorre una strettissima correlazione, al punto che lo stesso Servizio sanitario nazionale si delinea come un’istituzione che rende operativa la mediazione culturale. Gran parte dei servizi mostrano attualmente alcuni significativi ostacoli di tipo linguistico, comunicativo e in generale relazionale, che vengono esaltati nell’ambito assistenziale dei soggetti in condizione di maggiore fragilità sociale. Inoltre, la classificazione della malattia e l’organizzazione dei servizi sanitari sono molto diverse nei paesi extraeuropei rispetto a quelle dei paesi dell’Europa, e di conseguenza, il confronto tra utenti immigrati e strutture europee si traduce in molti casi, nel confronto tra sistemi medici profondamente diversi e tra diverse concezioni del rapporto sintomo,  malattia e terapia. Si tratta certamente di un fattore che complica in modo tutt’altro che irrilevante il rapporto tra paziente straniero e servizio sanitario, al punto da scoraggiarne l’accesso.
Infine, concludiamo con una differenza Sicilia – Italia più modesta rispetto a quella precedentemente espressa. Infatti, rileva la Fondazione Leone Moressa che il tasso di dimissioni in regime di day hospital rilevato in Sicilia al 31 dicembre 2013 per gli stranieri rispetto al totale della popolazione corrisponde al 2,5%, appena due decimi di punto percentuale in meno rispetto a quanto evidenziato a livello nazionale (2,7%). Anche in questo caso è la regione Sardegna a rilevare una percentuale nettamente superiore (8%).