Per andare avanti il Ragusano Dop punta alla “Banca del formaggio”

RAGUSA – A quasi vent’anni dal riconoscimento della Denominazione di origine controllata (Dop), la produzione di Ragusano rimane troppo piccola per competere con i formaggi italiani che contano e troppo grande per essere ancora considerata una di nicchia. Lo scorso anno sono state caseificate circa 233 tonnellate, 80.000 chili in più del dato sulla produzione registrato undici anni fa, per un valore al consumo di circa 3 milioni.
 
Ma i numeri sono assolutamente insufficienti per soddisfare le continue richieste dalla Grande distribuzione organizzata. Non viene retto il confronto, per tanti ovvi motivi, con i due pesi massimi degli stagionati italiani più conosciuti del mondo: Parmigiano Reggiano – oltre 272 mila tonnellate prodotte nel 2014 per 2 miliardi di euro di valore al consumo – e Grana Padano – quasi 185 mila tonnellate lo scorso anno, con un valore al consumo pari a 2,4 miliardi.
I produttori del Ragusano Dop sono costretti a scontare, inoltre, le difficoltà di accesso al credito. E mentre i “colleghi” del Parmigiano Reggiano riescono a farsi prestare dalle banche 300 milioni di euro impegnando le classiche forme fino alla vendita, le 40 aziende aderenti alla Dop devono autofinanziare il periodo che dalla lavorazione va alla stagionatura – minimo tre mesi – fino alla vendita degli “scaluni”, parallelepipedi da 10 o 16 chilogrammi.
Le menti sono in fermento. Il direttore del Consorzio di tutela del Ragusano Dop, Enzo Cavallo, rilancia l’idea di importare la cosiddetta Banca del formaggio. “Vogliamo avere una linea di credito destinata ai produttori di Ragusano Dop e garantita dallo stesso formaggio prodotto e stagionato nel rispetto del disciplinare di produzione – spiega Cavallo -. Ci siamo già rivolti a degli istituti di credito, abbiamo avuto delle risposte per forme di credito normale, ma non abbiamo ancora trovato disponibilità adeguate alle proposte formulate. Per questo contiamo di coinvolgere altre banche, indipendentemente dalla loro esistenza in territorio Ibleo, per tentare la soluzione di un problema di non trascurabile importanza se si vuole veramente rilanciare un prodotto di grande valore che può dare risposte non indifferenti non solo ai diretti interessati ma a tutto il territorio”.
L’aspettativa riguarda tutti i lavoratori di diretto e indotto di questa tradizionale fonte di reddito iblea. I produttori devono aspettare anche 12-18 mesi per guadagnare 3,5 euro circa al chilogrammo di Ragusano Dop venduto. Un margine del 25%, rispetto al prezzo di vendita finale che oggi oscilla sui 14 euro. E tempi lunghi per l’incasso. “Occorre mettere gli allevatori nelle condizioni di avere la necessaria liquidità finanziaria per mandare avanti l’azienda e l’attività di caseificazione e di stagionatura – prosegue Cavallo – attraverso anticipazioni agevoli e non eccessivamente onerose per far fronte ad ogni esigenza imprenditoriale durante tutto il periodo di produzione del nostro formaggio tipico”.
Il formaggio c’è. È apprezzato in tutte le tavole imbandite sparse per ristorazione, fiere ed eventi, Expo di Milano ultima in ordine di tempo. La storia lo tramanda da quando era il più semplice “caciocavallo”, nome derivato dal periodo di stagionatura a cavallo di travi in legno. Dal 1996 è nobilitato dal marchio Dop e dal relativo disciplinare che ne regola tutte le fasi di lavorazione.
Dietro c’è la storia di una terra che, volente o nolente, quando si tratta di sopravvivere o crescere economicamente si attacca sempre all’agroalimentare.