PALERMO – È noto come l’ordinamento penitenziario italiano miri, quanto più possibile, al reinserimento sociale del reo, di modo che la pena assume una preminente funzione rieducativa, ferme restando le esigenze di controllo e sicurezza sociale. In quest’ottica devono inquadrarsi le misure alternative alla detenzione che, secondo il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, consistono in “provvedimenti che mantengono il condannato nella comunità attraverso l’imposizione di condizioni e/o obblighi”. Introdotte dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, esse costituiscono un vero e proprio “programma di trattamento”; sulla loro diffusione ci informa il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che, al 31 agosto scorso, ne delinea le relative applicazioni, in base alle diverse tipologie.
Su un totale di circa 23.000 beneficiari (22.868), a più della metà (12.354) risulta applicata la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale che, in base all’art. 47 della legge citata, svolgendosi interamente fuori dall’istituto di pena, permette in massimo grado di limitare i danni della privazione della libertà e di instaurare un rapporto di collaborazione con l’ufficio di esecuzione penale esterna.
Tali soggetti, in più della metà dei casi (6.283) provengono dallo stato di libertà, solo il 20% circa (2.613) si trovava in precedente stato di detenzione (arresti domiciliari, carcere e detenzione domiciliare).
Seguono immediatamente i tossicodipendenti provenienti dalla detenzione (1.738), dalla libertà (1.024), mentre le ultime due tipologie rappresentate sono i malati di Aids provenienti dalla detenzione (35) e dalla libertà (3).
Esaminando i beneficiari della detenzione domiciliare, introdotta dalla legge n. 663 del 10/10/1986 e consistente nell’esecuzione della pena nella propria abitazione (o in altro luogo di privata dimora o pubblico di cura), essi costituiscono poco più del 40% dei beneficiari di tutte le misure (9.795). In questo caso, i soggetti provenienti da uno stato di libertà o detenzione sono, in entrambi i casi, circa il 40% (3.791, 3.698); in misura minima (9) troviamo ancora i malati di Aids (che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere) e le madri provenienti dalla libertà (in applicazione dell’art. 47-quinquies della L. 354/1975, destinato alle madri di bambini di età inferiore a dieci anni e finalizzato alla cura e all’assistenza dei figli). In numero leggermente superiore (24) sono invece le madri ex-detenute che usufruiscono della misura.
Riguardo alla semilibertà, regolamentata dall’art. 48 della L. 354/1975 e consistente nella concessione al condannato di trascorrere parte del giorno fuori dall’istituto di pena per partecipare ad attività lavorative e istruttive, essa è applicata ad appena il 3% del totale dei condannati (719), di cui un 90% proveniente da un precedente stato di detenzione (648).
La preponderanza di tale scelta appare in linea con la finalità delle misure alternative alla detenzione, ovvero di assicurare la presenza nella comunità e il ricollocamento nel tessuto sociale.
È infine da segnalare l’utilizzo delle sanzioni sostitutive della libertà controllata (per pene detentive non superiori a un anno) e della semidetenzione (per pene non superiori a due anni, con l’obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno negli istituti per semiliberi), in coda tra le misure riportate dal Ministero (rispettivamente, 188 e 5 beneficiari).