PALERMO – Al Sud e nelle Isole rispetto al Nord ci sono salari più bassi, costo del lavoro simile e produttività inferiore. A fare il quadro statistico delle differenze per aree geografiche è stato il gruppo Tortuga formato da studenti di economia alla Bocconi, Lse (London school of economics and political science) e Upf (Università Pompeu Fabra). Una panoramica che conferma le difficoltà del meridione e che si associa ad altri incentivi a non investire come il tasso di infrastrutture decisamente più basso della media nazionale, la burocrazia, la criminalità.
La crisi isolana della grande industria, da Termini Imerese ai cantieri navali per citare soltanto i due esempi più significativi, passa anche da un costo del lavoro leggermente inferiore al Nord (salario più imposte) a fronte di una produttività inferiore. Un dato dovuto, almeno in parte, “a imposte come Irpef e Irap – hanno scritto i membri del gruppo in un articolo pubblicato su lavoce.info –, con addizionali regionali talvolta più alte nelle regioni del Sud”.
Dall’altra parte, però, c’è una produttività con livelli fino al 30% più bassi rispetto ad altre aree (mediamente si tratta di un valore aggiunto, utilizzato come misura della produttività, di circa dieci punti in meno).
Cosa fare, dunque, per agevolare gli investimenti e quindi incentivare le assunzioni al Sud? Un passo da compiere sembra essere l’intervento sulle imposte regionali. “Attualmente le aliquote Irap e Irpef – scrivono gli studenti – sono più elevate al Sud perché più alte sono le addizionali nelle regioni sottoposte a piani di rientro dal deficit sanitario”. Azioni “punitive” che rischiano di entrare a gamba tesa anche sui meccanismi di ripresa e rilancio economico.
Il “caso” è stato ripreso nei giorni scorsi, sempre all’interno del prestigioso sito economico, da un intervento di Salvatore Perri, esperto economista di fama internazionale e collaboratore, tra le altre cose, del blog della London school of economics. A incidere sul dato della produttività ci sarebbero, secondo Perri, diversi fattori che costituiscono proprio il cuore pulsante delle attuali difficoltà isolane. A partire dal nanismo delle aziende, che non diventa un fattore aggiunto di competitività come accade, ad esempio, nel nord-est del paese dove le piccole e medie imprese riescono anche a fare rete. E spesso la dimensione non è una scelta, ma una necessità. “Pertanto, la produttività dell’azienda – scrive Perri – dipende da fattori che sono fuori sia dal controllo dell’imprenditore sia dei lavoratori”.
Preoccupano anche il sommerso e il tasso di occupazione
Bisogna considerare anche i dati della disoccupazione – proprio all’inizio di ottobre l’Eurostat ha confermato l’ennesimo record negativo dell’Isola a livello europeo con un tasso di occupazione del 42,4% – e il lavoro sommerso, fattori che contribuiscono a delineare un quadro in cui il lavoratore medio teme per la perdita del posto, visto l’esercito di disoccupati pronto a sostituirlo, e le aziende che pescano nell’illegale pur di mantenersi, a denti stretti, sul mercato.
In conclusione si tratta di un eterno girotondo: le aziende non crescono, le infrastrutture e la burocrazia asfissiante accentuano le difficoltà dovute alla crisi, gli occupati sono pochi e il livello di domanda aggregata resta basso e non permette la crescita dimensionale delle imprese. A questo mare di problematiche si aggiunge anche la difficoltà di accesso al credito. La ricetta di Perri è essenziale: correggere i servizi pubblici alle imprese e favorire un sistema basato su monitoraggio e sviluppo per favorire l’accesso al credito, contrasto a corruzione e criminalità, spendere i fondi statali e comunitari “per ridurre il divario infrastrutturale e magari per introdurre un reddito minimo, che consenta la nascita di un contrasto d’interessi fra lavoratore sommerso e l’impresa”.