I 4,3 milioni di dipendenti pubblici (3,3 mln diretti e 1 mln indiretti, assunti nelle società partecipate quasi sempre con metodo clientelare) costano molte decine di miliardi, tra stipendi, tredicesima, in qualche caso quattordicesima, ferie, malattie, Tfr, contributi e via elencando. Dove e quando è stato valutato congruo tale costo? Per ragioni di equità tra i cittadini, ogni spesa di denaro pubblico dev’essere rapportata al risultato. Il risultato sono i servizi prodotti dalla Pubblica amministrazione.
Non entriamo nelle regole tecniche che misurano tale rapporto tra costo e servizi, perché sono complesse. Ma possiamo rassicurarvi che esse esistono e consentono la misurabilità di ogni costo in relazione al servizio prodotto. Si fa nel settore privato, in modo più preciso nelle fabbriche.
La misurazione del rapporto tra costo e servizio consente di determinare quale sia il tasso di produttività del medesimo. Se, poniamo ad esempio, il costo di un servizio è 100 e il rendimento unitario è 1, significa che con 100 si possono produrre cento servizi. Se costasse 2, si produrrebbero cinquanta e non cento servizi e così via.
In un periodo gravissimo di crisi, in cui bisognerebbe far tesoro di ogni euro speso nel settore pubblico, i criteri dianzi elencati dovrebbero essere la base per qualunque contrattazione. Invece, non sembra che sia così, perché di fronte alle proteste del sindacato per l’esiguo aumento proposto dal Governo, questo non ha reagito affermando senza ombra di dubbio che i 4,3 milioni di dipendenti pubblici sono pagati di più di quanto rendono.
Ora, vi è un altro principio di equità: ogni cittadino deve dare più di quanto riceve. Cos’è questa storia che i pubblici dipendenti chiedono senza prima avere fatto l’esame di coscienza di quanto hanno dato in proporzione a quanto chiedono?
E poi: cos’è questo ulteriore privilegio di lavorare il dieci per cento in meno di tutti gli altri cittadini? I pubblici dipendenti, infatti, hanno un orario settimanale di 36 ore contro le 40 ore di tutti gli altri cittadini-lavoratori. Non parliamo degli autonomi, che lavorano anche 50 o 60 ore settimanali.
Non sappiamo se il Governo vorrà imboccare la strada dell’equità. Ma senza di essa, non è credibile.