Empori di solidarietà, il Sud solito fanalino

PALERMO – La povertà alimentare è un problema reale e ha assunto delle dimensioni che non si possono più ignorare. Secondo le stime recenti, sono cinque milioni e mezzo gli italiani che non riescono a mantenere standard sufficienti di alimentazione e tra loro, un milione e 300 mila sono minori. Tra le cause principali vi è anche la mancanza di una politica nazionale che contrasti in maniera concreta la povertà alimentare, fenomeno tamponato perlopiù dal volontariato e dalla beneficienza. Sebbene il Terzo settore ha mostrato i suoi limiti quando l’indigenza ha raggiunto le cifre attuali (il 66% delle organizzazioni caritative non riesce ad andare incontro a tutte le richieste di aiuto), va detto che il welfare state oggi non potrebbe reggersi senza gli enti no profit.
A questo proposito, va segnalato il contributo importante che negli ultimi anni è giunto dagli “Empori di solidarietà”: dal 2008 ne sono nati 60 in 16 regioni diverse. È quanto emerge dal “Secondo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2015” del Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi (a cura di F. Maino e M. Ferrera).
In pratica, in queste strutture, chi ha bisogno può reperire gratuitamente prodotti di prima necessità, con un sistema a punti correlato allo stato di bisogno. Il metodo di pagamento avviene con una tessera personale, una carta dove il credito sono i punti stabiliti dagli operatori in base ai bisogni dei beneficiari.
 L’attività degli Empori è garantita da una sinergia tra pubblico, privato e terzo settore e ciò permette di considerarli come un secondo welfare; il finanziamento giunge da Enti locali, dalla Ue, Fondazioni, dal Fondo di aiuti europei agli indigenti e dal crowdfunding (quando un gruppo di persone usa il proprio denaro in comune per supportare gli obiettivi di alcuni individui o organizzazioni).
Lo scopo principale degli empori solidali è l’erogazione di beni alimentari con un fine educativo: gestiti come dei supermercati self service, i prodotti si pagano in base al prezzo che viene determinato attraverso dei punti, stabiliti tenendo conto della disponibilità del prodotto. In questo modo gli alimenti di base costano meno rispetto a quelli secondari, come ad esempio i dolci, e si dà alla spesa uno scopo educativo così da evitare sprechi di denaro.
Gli empori si affidano alla “logica della riattivazione” della persona in difficoltà: al momento dell’adesione, si sottoscrive il patto individuale con il beneficiario che deve impegnarsi a seguire un percorso pensato ad hoc per lui, come per esempio la ricerca attiva del lavoro e/o la frequenza a corsi di formazione, oppure ancora la partecipazione ad attività di volontariato.
I beneficiari degli Empori vengono determinati con dei criteri variabili perché tengono conto di quanto sia mutata la povertà visto che ormai colpisce tutti, senza più distinzione di ceto: ora, infatti, esiste anche la categoria dei “nuovi poveri” che si sono trovati in condizione di povertà a seguito della crisi economica.
Quanto alla ripartizazione territoriale, gli Empori solidali si stanno rapidamente diffondendo nelle regioni settentrionali e centrali, mentre stentano a decollare nel Mezzogiorno. Attualmente vi sono 28 Empori al Nord, 23 al Centro e 9 al Sud. In Sicilia c’è solo l’Emporio solidale di Caltanissetta, gestito dalla Caritas, i cui locali sono stati ceduti ai volontari in comodato dal vescovo Mario Russotto. Tra le attività si segnala un laboratorio artigianale, dove alcuni volontari riparano gli abiti usurati e li vendono per poi donare il ricavato alle iniziative sociali del quartiere.
Il paradosso è che gli empori mancano proprio in quelle regioni che ne avrebbero più bisogno, aumentando di conseguenza sia il divario tra Nord e Sud e sia le privazioni che pesano sulla Sicilia da decenni.