PALERMO – Supera gli 87 ettari la superficie complessiva degli orti urbani in Sicilia, il 72 percento dei quali ubicati nel comune di Palermo. Il capoluogo conquista, dunque, il primo posto nella classifica delle province siciliane che dal 2003 al 2014 hanno deciso di dedicare particolare attenzione al recupero delle aree verdi, terreni incolti o abbandonati. Nel 2008 il comune palermitano ha inserito uno specifico regolamento per “l’assegnazione, la gestione, la vigilanza e la revoca degli orti ad uso famigliare realizzati all’interno del territorio comunale”.
Nel 2012, inoltre, è stato sottoscritto un protocollo d’intesa “per la progettazione partecipata di un Piano Strategico Comunale finalizzato allo sviluppo dell’agricoltura periurbana della Conca d’Oro”, un’iniziativa pilota finalizzata alla tutela e valorizzazione delle attività agricole svolte in prossimità dell’area metropolitana di Palermo. Dallo studio “L’agricoltura nella Sicilia in cifre 2013” realizzato dall’Istituto nazionale di economia agraria di Palermo, emerge che ad oggi sono state avviate 18 esperienze di cui 8 orti a Palermo, 1 a Catania, 2 a Caltanissetta, 2 a Ragusa, 1 a Siracusa e 1 a Messina. Altri 3 sono localizzati in comuni non capoluogo, quali Gangi (PA), Favara (AG) e Modica (RG). Il dato diffuso da Inea evidenzia una crescita d’interesse da parte della società siciliana (famiglie, cooperative, associazioni, comitati di quartiere) verso l’ambiente, il paesaggio e la vivibilità delle zone abitate. Il recupero delle zone verdi si sviluppa attraverso la coltivazione di appezzamenti di terreno che, concessi in affitto o affidati gratuitamente ai cittadini, vengono sempre più spesso considerati strumenti di pianificazione del verde nell’ambito delle politiche comunali. La riqualificazione urbana passa anche attraverso attività educative e formative, spesso volte all’inclusione sociale delle fasce più deboli della popolazione (disoccupati, immigrati, anziani, detenuti, diversamente abili, ecc.).
Particolarmente interessante è il caso di due orti di Caltanissetta, realizzati nell’ambito di istituti scolastici, i cui utilizzatori sono gli alunni della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria, insieme a insegnanti, genitori e comunità locale. In essi un ruolo di particolare importanza è stato assegnato al “nonno ortolano” che, in qualità di custode di conoscenze nel campo agricolo, segue gli studenti durante l’intero anno scolastico, insegnando le tecniche di coltivazione. Iniziativa lodevole, ma non basta. “Sebbene, infatti, siano trascorsi più di dieci anni dalle prime esperienze di orti urbani in Sicilia, lo sviluppo di queste esperienze di responsabilità civica risulta ancora fortemente limitato” sottolinea Gabriella Ricciardi, tecnologo di ricerca all’Inea Palermo.
“Per la crescita del settore – secondo Ricciardi – è necessario puntare sullo sviluppo di una politica finalizzata ad incentivare l’identità territoriale tramite la promozione della coltivazione di piante autoctone e la sperimentazione di nuove forme di sviluppo dell’agricoltura urbana legate, ad esempio, all’impianto di frutteti comuni, allo sfruttamento delle stesse aree da destinare ad attività educative o volte all’inclusione sociale”.
Il futuro è nell’agricoltura bioetica
Poche le amministrazioni comunali che ad oggi hanno provveduto ad inserire gli orti urbani negli strumenti di pianificazione urbanistica del verde pubblico e privato della città. Tuttavia, il consolidarsi di una nuova coscienza collettiva, sempre più attenta non soltanto alla salubrità dei prodotti agroalimentari, ma anche alla riduzione dell’inquinamento e al miglioramento del microclima urbano, ha sollecitato politiche volte al recupero delle aree verdi nei centri abitati. Ma “il potenziamento ed il futuro sviluppo degli orti urbani verrà sancito dall’agricoltura bioetica” questo il parere di Ambrogio Vario, fondatore degli orti urbani allo Zen e di via Galletti a Palermo. “A differenza del biologico, sottoposto a controlli privati, l’agricoltura bioetica tiene conto di una tracciabilità sanitaria verificabile attraverso enti di controllo pubblici. I cittadini verrebbero, dunque, coinvolti nei controlli e nei processi produttivi, con effetti benefici sul prezzo poiché scaturito da un calcolo trasparente, e sulla salubrità del prodotto in quanto garantito da una reale tracciabilità e non dalla barbara concorrenza, dalla confusione e dall’illegalità”. Una formula di conduzione, insomma, che mette al centro la persona ed il rispetto delle biodiversità più che il prodotto in sé.