Sì alle tasse no agli sperperi

L’ex commissario alla revisione della spesa, Carlo Cottarelli, e i suoi successori avevano previsto un taglio della spesa corrente tra i sessanta e i settanta miliardi nel 2014 e 2015. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, invece, ha comunicato che la riduzione della spesa per gli stessi anni è stata, complessivamente, inferiore a 25 miliardi.
La più grave omissione nella programmata riduzione riguarda le partecipate pubbliche di tutti i livelli, delle quali non vi è un censimento preciso, ma sono stimate nel numero oscillante fra otto e diecimila. Eliminare tali partecipate pubbliche significa eliminare le relative perdite, intorno a venti miliardi.
Si capisce che vi sia una forte resistenza da parte degli enti pubblici chiamati a chiudere tali partecipate, perché verrebbe meno quel filone clientelare portatore di voti e di consensi, che ha alimentato negli ultimi decenni un ceto politico debole, incapace di grandi progetti di interesse generale.

La crisi che ha colpito l’Italia è stata più grave di quelle che hanno colpito gli altri Paesi europei, perché molto indebitata e incapace di stornare la spesa corrente per girarla a spesa di investimenti e opere pubbliche.
Più grave è il fatto chiarissimo che il nostro Sud è stato più penalizzato dalla crisi, avendo un tessuto sociale ed economico gracile. Cosicché la forbice si è allargata e anche quando è cominciata la ripresa, mentre le regioni del Nord stanno crescendo, quelle del Sud continuano a regredire.
Il peggio è che la povertà nel Meridione alimenta ancora di più l’attività di un ceto politico modesto, perché il bisogno delle classi meno abbienti è alimentato dalla speranza vana che, appunto, i politici meridionali continuano a dar loro.
La situazione del Mezzogiorno è sempre più drammatica, fatte salve due regioni bene amministrate, quali Puglia e Basilicata, che stanno crescendo in linea con le consorelle del Nord. Ma Campania, Sardegna, Calabria e Sicilia soffrono e vedono aumentare il numero di poveri in maniera esponenziale.
Ed è proprio questo il dramma più grande: la diffusione della povertà.
 

La direttrice dell’Agenzia delle Entrare, Rossella Orlandi, ha comunicato che nel 2015 si sono recuperate imposte per 15 miliardi, con un incremento di 1 miliardo rispetto all’anno precedente.
Un buon traguardo, che può essere nettamente migliorato per almeno due ragioni: la prima riguarda il buco nero dell’evasione, stimato in oltre 100 miliardi; la seconda riguarda la possibilità di estendere le indagini degli ispettori dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza a tutto il sistema bancario che, ormai, non ha più segreti di sorta.
Il che è un bene, perché cittadini e imprese che stanno nell’alveo delle leggi, non possono avere nulla da temere dai controllori, i quali devono seguire, però, le regole etiche dell’equità, della ragionevolezza e della proporzionalità.
La stessa Orlandi, con una propria direttiva, ha chiesto ai propri uffici di stornare l’attenzione da questioni formali e puntare sempre alla sostanza.

È giusto ed onorevole pagare le tasse, ma esse debbono essere spese con il buon senso del pater familias, perché comunque costituiscono un sacrificio per i contruibuenti.
Non è bello pagare le tasse, come sosteneva l’ex ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, ma è giusto che ogni cittadino ottemperi  ad esse in osservanza all’articolo 53 della Costituzione.
Tuttavia, vi deve essere sempre un bilanciamento tra imposte e spese, per cui cittadini e imprese che le pagano regolarmente, devono essere confortati che i loro sacrifici siano indirizzati verso la crescita, lo sviluppo, la nuova occupazione e la solidarietà nei confronti dei cittadini gracili.
È evidente a tutti, però, che non si produce ricchezza se non vi è nulla da distribuire; quindi, primario obiettivo è proprio questo e solo dopo interviene il principio della solidarietà.
Sì alle tasse, no agli sperperi, che sono insopportabili per chi è già onerato da problemi di ogni tipo e, soprattutto, dalle costanti angherie di una burocrazia miope e disfattista.