La legge 194 non tutela le donne e vìola la Carta sociale europea

ROMA – Lo Stato italiano non fa abbastanza per evitare che l’obiezione di coscienza dei medici anti aborto, garantita dalla legge 194 del 1978, abbia come conseguenza la violazione della Carta sociale europea del Consiglio d’Europa, in particolare riguardo ai diritti alla salute e alla non discriminazione delle donne che vogliono interrompere la propria gravidanza. è sentenza destinata a far discutere quella pronunciata ieri, a Strasburgo, dal Comitato europeo dei Diritti sociali, rispondendo a un reclamo collettivo presentato dalla Cgil.
Il diritto delle donne ad interrompere una gravidanza, in sostanza, resta fermo sulla carta perché si scontra con le difficoltà oggettive nell’acesso all’aborto in strutture pubbliche. Allo stesso modo, non viene loro garantita la tutela della salute. Lo Stato dovrà ora rispondere adottando delle misure correttive finalizzate all’eliminazione di quelle forme di “discriminazione” che penalizzano i medici non obiettori.
Si è detta profondamente “stupita” dall’analisi, il ministro alla Salute, Beatrice Lorenzin che, pur ammettendo la necessità di dover approfondire la questione, non ha mancato di sottolineare che si tratta di dati ormai superati e risalenti al 2013. “Dati vecchi – ha detto il ministro -, rispetto ai quali oggi abbiamo installato una nuova metodologia di conteggio e di misurazione analisi del contesto regionale”.
A dimostrazione dell’impegno profuso per innovare sotto il profilo del conteggio dei dati relativi alle pratiche di aborto, Lorenzin sottolinea: “Abbiamo fatto rete con tutti gli assessorati regionali e nella relazione che abbiamo presentato al parlamento recentemente non ci risultano sfasature”. Per il ministro l’unico dato di sua conoscenza è quello di “alcune aziende pubbliche che hanno qualche problema di criticita’ dovuto a questioni di organizzazione. Siamo nella norma”. Lorenzin assicura che approfondirà la questione e, alla domanda di una cronista se non ravveda, come ipotizzato nel ricorso dalla Cgil, una violazione del diritto alla salute risponde “Assolutamente no”.
Anche Filomena Gallo e Mirella Parachini, rispettivamente segretario e membro di Direzione, Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, hanno commentato la sentenza. “Con questa nuova sentenza del Consiglio d’Europa, l’Italia si conferma ancora una volta maglia nera d’Europa in tema di diritti. La decisione di oggi dimostra infatti come negli ospedali del nostro Paese siano sistematicamente violati sia il diritto alla salute delle donne, che non riescono ad accedere all’interruzione di gravidanza, che i diritti dei medici non obiettori che ogni giorno, con il proprio lavoro, cercano di far rispettare la legge 194”.
“Noi dell’Associazione Luca Coscioni – si legge ancora nella nota – abbiamo lanciato alcune proposte chiare e concrete per ripristinare un minimo di legalità a tutela dei diritti di tutti: la creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza; l’elaborazione di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza; concorsi pubblici riservati a medici non obiettori per la gestione dei servizi di IVG, l’utilizzo dei medici “a gettone” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori e infine una deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di IVG sono scoperti”.
“Garantire la piena applicazione della legge 194 – hanno concluso i rappresentanti dell’Associazione Luca Coscioni -, senza ledere il diritto delle donne che decidono d`interrompere la gravidanza e quello dei medici che decidono di obiettare non è difficile: basta volerlo fare”.