PALERMO – La Commissione Europea ha presentato, lo scorso 7 aprile, un nuovo piano per rivedere le regole di applicazione dell’IVA in ambito comunitario e di determinazione delle aliquote nei ventotto Stati appartenenti all’Unione Europea.
Ha ritenuto, comunque, di concedere un certo margine di discrezionalità ai singoli Paesi nella determinazione delle aliquote ridotte, come nel caso delle pubblicazioni on line.
Ricordiamo che risale al 1972 la legge delega sulla riforma tributaria, quella che, in ottemperanza a quanto richiesto dall’allora Comunità Economica Europea, ha previsto, come imposta sui consumi dei Paesi membri, l’applicazione dell’IVA, un’imposta “plurifase sul valore aggiunto”, al posto della preesistente IGE, “plurifase sul valore pieno”, non in grado di assicurare la libera circolazione delle merci in ambito comunitario secondo un regime di libera concorrenza.
L’IVA in Italia è stata introdotta in data 1^ gennaio 1973, ma da allora i problemi riguardanti l’uniformità di applicazione del tributo e delle aliquote non sono stati mai definitivamente risolti.
Non sono bastate le numerose direttive comunitarie, specialmente la “Sesta Direttiva”. Non è bastata nemmeno l’introduzione della normativa riguardante l’applicazione dell’IVA “intracomunitaria” , avvenuta con il Decreto Legge 30 Agosto 1993 n.331, normativa con la quale sono state eliminate le barriere doganali tra i diversi Paesi appartenenti all’Unione, è stato uniformato il sistema di applicazione dell’IVA negli acquisti e nelle cessioni intracomunitari e regolamentato il sistema delle aliquote IVA delle cessioni e delle prestazioni di servizi poste in essere dai Paesi membri.
Con riguardo alle aliquote, è stato previsto che ogni Stato non poteva avere più di due aliquote, una ordinaria ed una ridotta, la prima non inferiore al 15%, l’altra non inferiore al 5%.
L’Italia, che fino al 1992 aveva anche una terza aliquota, il 38%, relativa ai beni così detti “di lusso”, a partire dal 1973 ha dovuto rinunciare a quest’ultima, mantenendo l’aliquota ordinaria (quella che attualmente è del 22%) e quella ridotta (che attualmente è il 10%), entrambe rientranti nella previsione europea. è stata comunque autorizzata a mantenere un’altra aliquota, quella attualmente stabilita nella misura del 4%, ma solo per i beni ed i servizi di natura preminentemente “sociale” e già soggetti ad agevolazione prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni.
Con riguardo al sistema di applicazione dell’IVA in ambito comunitario, con il decreto del ‘93, è stato previsto un regime transitorio ed uno definitivo.
Il primo sarebbe dovuto durare solo tre anni (fino al 31/12/1995), ma è quello ancora in vigore in tutti i 28 Stati dell’Unione. Prevede l’applicazione dell’IVA nel Paese dove avviene l’operazione (quello dove è stabilito il cedente o il prestatore) soltanto quando il cessionario o committente è un privato consumatore. Prevede, invece, provvisoriamente, l’applicazione dell’IVA nel Paese del cessionario o committente quando quest’ultimo è in soggetto passivo IVA (“identificato” con partita IVA). In quest’ultimo caso la “cessione intracomunitaria” rappresenta un’operazione non imponibile, mentre “l’acquisto intracomunitario” costituisce un’operazione da assoggettare ad imposta con il sistema del “reverse charge” (inversione contabile).
Il regime definitivo, invece, avrebbe dovuto prevedere l’applicazione dell’IVA sempre nel Paese in cui l’operazione viene effettuata, a prescindere dalla qualità (soggetto IVA o privato consumatore) del cessionario o committente. In pratica, in base a questo criterio, il territorio comunitario sarebbe dovuto diventare come un grande territorio interno, e l’IVA versata sempre dal cedente nello Stato in cui risiede, con possibilità del cessionario residente in altro paese UE di portare in detrazione l’imposta (se soggetto IVA).
Poi, essendo l’IVA una Imposta sui Consumi, la stessa avrebbe dovuto subire una ridistribuzione tra i vari Stati nei quali il consumo è avvenuto, attraverso un sistema di assegnazione mediante compensazione tra debiti e crediti (clearing).
Il problema maggiore di questo sistema, in verità, a causa delle difficoltà di applicare il “clearing” , specialmente per via della mancanza di uniformità delle aliquote previste nei singoli Stati, è dato dalla difficoltà di stabilire l’ammontare dell’IVA che, in relazione alla competenza di ciascuno dei Paesi europei, dettata dal luogo del consumo (quello del consumatore finale), è dovuta a ciascuno degli Stati Europei nei quali il consumo si era verificato.
Ed è proprio questo il motivo del perdurare, dopo più di dieci anni dalla ipotizzata scadenza, del regime provvisorio, un sistema, però, che, proprio per il criterio di applicazione dell’imposta a cura del cessionario o committente, non è in grado di assicurare la necessaria barriera alle frodi IVA che purtroppo incidono significativamente nel bilancio degli Stati operanti ed in quello della stessa Unione Europea.
Oggi, però, si incomincia a parlare seriamente di modificare questo sistema.
Come già detto, la Commissione Europea comincia finalmente a parlare di una significativa rivisitazione delle regole, onde consentire una effettiva uniformità dei sistemi e delle aliquote in tutti i ventotto Paesi dell’Unione. Si è accorta, infatti, che nel 2013 tra il gettito sperato e quello raccolto c’è stata una differenza di ben 168 miliardi di Euro, compresi 50 miliardi di spettanza proprio della stessa Unione.
Così, ritenendo tale differenza dovuta principalmente alle frodi IVA che possono facilmente essere compiute attraverso il particolare sistema dell’inversione contabile tra contribuenti appartenenti a due Paesi dell’Unione (le così dette “frodi carosello”), ha deciso di tentare di cambiare rotta ed abbandonare il vecchio sistema provvisorio, cercando nuovi sistemi che riescano a superare le problematiche che finora sono state di ostacolo all’introduzione del regime definitivo.
Secondo la proposta della Commissione, il nuovo sistema dovrebbe prevedere l’applicazione dell’IVA nel Paese “esportatore”, però, con l’applicazione dell’aliquota IVA prevista nel Paese “importatore”. Il gettito verrebbe poi trasferito allo Stato membro nel quale si verifica il consumo, rispettando , così, le regole fondamentali del tributo in ambito europeo.
Evidentemente, in tale ipotesi sarebbe necessario pure il potenziamento dei controlli congiunti, nonchè una maggiore cooperazione internazionale, anche con i Paesi terzi.
In tema di aliquote, sempre secondo la proposta della Commissione Europea, dovrebbe essere data maggiore libertà ai Paesi membri, consentendo loro di applicare due aliquote ridotte e con possibilità di ampliare l’elenco dei prodotti agevolabili. Unica condizione è quella di evitare distorsioni nelle transazioni dei 28 Paesi.
Con una proposta del genere, appare superato il problema dell’Italia che, dal 1^ gennaio scorso, ha già ridotto al 4% l’aliquota IVA delle pubblicazioni on line, con relativa apertura d’infrazione da parte degli Organi Europei.