E così, il referendum sulle trivelle, promosso dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, insieme ad altre otto Regioni, è stato un fallimento, perché gli italiani, pur non essendo andati al mare, non sono andati nemmeno alle urne, almeno per i due terzi degli aventi diritto al voto.
Il danno c’è stato, perché comunque lo Stato ha dovuto spendere 350 milioni per una partita assolutamente inutile e falsata da tanti politici in malafede al solo scopo di accreditarsi come i paladini di una questione inconsistente.
A proposito della diatriba, se andare a votare oppure no, qualcuno ha scomodato il secondo comma dell’art. 48 della Costituzione: “Il voto è personale e uguale, libero e segreto, il suo esercizio è dovere civico”. Ma l’art. 75 della Costituzione, che istituisce il referendum, prevede che esso sia valido qualora la proposta venga approvata dalla maggioranza degli aventi diritto. Quindi, il diritto all’astensione è, parimenti, di rango costituzionale.
Il referendum è un’importante forma di esercizio diretto della democrazia. Ma in Italia, dopo le importantissime battaglie vinte sul divorzio (1974) e sull’aborto (1981), non sempre ne è stato fatto un uso diligente. Peraltro, il precedente referendum sull’acqua (2011), il cui quorum costitutivo è stato raggiunto e che ha visto prevalere i “Si”, ha portato un risultato negativo: il deperimento delle reti idriche e il peggioramento del servizio.
Mentre tutto questo accade, il nostro Paese è avvolto in una nebbia che dura da trent’anni e che tiene bloccata l’economia e in naftalina lo sviluppo, per cui la ripresa stenta a decollare e si è fermata allo 0,8 percento nel 2015, con una previsione di modesto incremento (1,2) nel 2016.
L’Italia è preda di corporazioni e di gruppi di potere che con i loro vassalli continuano a succhiare il sangue dei cittadini, alimentando privilegi di ogni genere, anche sotto gli occhi di tutti, come quelli dei parlamentari con i loro vitalizi.
Il peggio è che in questo quadro il Sud è fortemente penalizzato, perché non ha infrastrutture, con una logistica arretrata che frena il movimento di beni e persone.
La promessa di Renzi che “il Ponte si farà” sembra ricordare il detto “campa cavallo, che l’erba cresce”. Ma mentre l’erba cresce, il cavallo muore. E così, mentre si aspetta che l’annuncio di Renzi diventi concreto, il Sud muore.