Rischio sismico, Sicilia indifesa. Ritardo cronico nella prevenzione

PALERMO – C’è poco da stare sereni. Gli ultimi indicatori territoriali per le politiche di sviluppo –  l’aggiornamento è stato pubblicato dall’Istat un paio di giorni fa – hanno ripreso tutti i valori relativi alla impreparazione dei comuni siciliani nei confronti del rischio sismico. Un cronico ritardo nei sistemi di prevenzione che si associa a un elevato tasso di rischio. Una miscela esplosiva che i comuni isolani continuano a tenere in mano col rischio di farsela sfuggire da un momento all’altro.
Il termine resilienza è stato ufficialmente definito nel 2009 dall’United nations international strategy for disaster reduction (Un-Isdr). Soltanto un anno dopo anche in Italia viene fondato il “Centro studi sistema protezione civile – Istituto italiano di resilienza” che ha adottato le linee guida internazionali e ha tra i suoi obiettivi quello di perseguire i punti programmatici di un documento internazionale di azione (unisdr.org/we/coordinate/hfa) adattandoli al contesto italiano. La resilienza, traducendo la definizione data dalle Nazioni unite, si considera come la capacità di un sistema, di una comunità o di una società, di resistere e assorbire e quindi riprendersi dagli effetti di un disastro in maniera tempestiva ed efficiente attraverso la conservazione e la restaurazione delle sue strutture e funzioni di base. In Sicilia non è un termine conosciuto.
A calcolarne gli indici per tutte le Regioni italiane ci ha pensato l’Istituto italiano di statistica che ha collegato la resilienza ai terremoti a una serie di strumenti che le amministrazioni dovrebbero avere approvato. La resilienza ai terremoti degli insediamenti per presenza dei piani di emergenza (numero di comuni per classe di mitigazione del rischio sismico che non hanno piano di emergenza) vede la Sicilia con un dato percentuale che supera di poco la metà del totale. In altri termini un ente locale su due dell’Isola è senza piano di emergenza.
Sempre nell’ampio capitolo della resilienza ai terremoti, rintracciamo il dato della presenza di microzonazione sismica. Si tratta di “studi per razionalizzare la conoscenza sulle alterazioni che lo scuotimento sismico può subire in superficie, restituendo informazioni utili per il governo del territorio, per la progettazione, per la pianificazione per l’emergenza e per la ricostruzione post sisma”. I comuni isolani che possono vantare la combinazione degli studi di microzonazione e del piano di emergenza sono appena l’11,5% del totale.
Nessun dato è presente, sempre nell’ambito della resilienza, per quanto riguarda l’analisi delle Condizioni limite di emergenza, un indicatore che “sintetizza il livello conoscitivo, valutativo e attuativo di alcune attività finalizzate alla mitigazione del rischio sismico e al miglioramento del sistema di gestione dell’emergenza”. 
Se gli strumenti di prevenzione e controllo sono all’anno zero, o quasi, lo stesso non si può dire del rischio sismico. Secondo l’ultimo aggiornamento della mappatura del rischio sismico, in Sicilia si trovano circa 350 Comuni che rientrano nelle due fasce più pericolose. La percentuale più evidente si rintraccia nella zone 2, dove si “possono verificare forti terremoti”, mentre una decina di realtà si trovano nella zona 1 (“possono verificarsi fortissimi terremoti). La classificazione si basa “sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo”.