Nel campo repubblicano, Trump è stato un outsider. Nessuno avrebbe scommesso un dollaro sulla sua capcità di conquistare 1.000 delegati, avendo contro l’establishment del suo Partito, tutto contrario a un uomo che non poteva essere controllato né irregimentato.
Trump ha finanziato la sua campagna elettorale, puntando sul sentimento popolare, parlando alla pancia dei ceti medio-bassi americani e, pur avendo contro buona parte della borghesia e del mondo degli affari, è riuscito in questa sorprendente impresa.
Proprio per questo dichiariamo la nostra simpatia per chi ha rotto le catene di una poderosa organizzazione partitocratica ed è quasi arrivato al traguardo di luglio sospinto dal vento popolare, in modo inarrestabile.
La dirigenza del suo partito ha cercato in tutti i modi di mettergli i bastoni tra le ruote, che Trump ha rotto sistematicamente, continuando a farle rotolare fino alla prima meta, appunto, la Convention di luglio.
Ora, dice Trump, tutti mi telefonano e tutti mi vogliono, come il Barbiere Siviglia.
Una volta nominato candidato, Trump dovrà cominciare la vera campagna elettorale, che lo farà confrontare con la Rhodam fino a martedì 8 novembre, giorno in cui il popolo americano eleggerà il 45° Presidente.
I bookmakers danno in vantaggio Rhodam rispetto a Trump. Se venisse eletta costituirebbe una novità dopo quella di un afroamericano quale Barack Obama. Quel popolo ha la capacità di innovarsi continuamente e di non temere le novità.
Nonostante i pronostici negativi, Trump potrebbe farcela come a sorpresa fu eletto Ronald Reagan, 40° presidente degli Usa, nel 1981. Un ex attore che seppe dare pace e prosperità al popolo americano con la sua Reaganomics. Non era colto, ma persona di buon senso. Ha saputo amministrare, anche col sorriso sulle labbra, e viene ricordato come un buon presidente.
Non sappiamo come finirà la tenzone Rodham-Trump. Sappiamo però che quale dei due sarà il nuovo presidente, gli Stati Uniti manterranno la barra al centro come fanno da 227 anni.