CATANIA – Chiudere i battenti, per un’impresa, significa al contempo aprire un iter, quello fallimentare, spesso lungo e complicato. Le procedure fallimentari, infatti, possono durare anni prima di essere definitivamente archiviate.
Se da un lato ciò dipende da quelle che sono le caratteristiche proprie dell’azienda (come ad esempio la sua forma giuridica, l’ammontare dell’attivo e del passivo, il numero dei dipendenti in essa presenti), dall’altro lato, ad avere un peso è anche l’efficienza della burocrazia, ovvero delle leggi e dei soggetti coinvolti in tale iter, che non sempre garantiscono rapidità nel procedere.
E infatti, proprio allo scopo di accelerare l’andamento dei procedimenti fallimentari, è stata approvata lo scorso agosto la legge n. 132, recante “misure urgenti in materia di procedure concorsuali e di giustizia”. Essa comprende, tra le altre cose, nuove norme che disciplinano l’attività dei curatori fallimentari, con lo scopo di accelerare il programma di liquidazione dei beni della società e quindi di abbreviare le durate dei fallimenti. In particolare, le modifiche hanno introdotto per il curatore un termine di 180 giorni, a decorrere dalla sentenza di fallimento, per il deposito del programma di liquidazione, e un termine di due anni (prorogabile in alcuni casi) per la conclusione delle operazioni di liquidazione dell’attivo fallimentare: il mancato rispetto di questi termini determina la revoca del curatore.
L’effetto di tale legge è stato immediato, anche se un calo della durata delle procedure fallimentari era già percepibile in tempi antecedenti alla sua introduzione.
Secondo il Rapporto Cerved “La durata dei fallimenti chiusi in Italia 2015”, di recente pubblicato, la durata media delle procedure fallimentari nel 2015 è diminuita di 7 mesi rispetto al 2014 in tutto il territorio nazionale. Inoltre, non è casuale che le chiusure dei fallimenti dopo la riforma, ovvero tra il settembre 2015 e il marzo 2016, siano aumentate significativamente. Sempre secondo lo stesso rapporto, infatti, in Sicilia si parla di un aumento del 28%: si tratta del dato più alto dopo quello del Trentino Alto Adige, dove l’incremento è stato del 31,8%. Ampie variazioni positive si sono registrate anche nel Lazio (+27,5%), Piemonte (+18,7%), Campania, Marche e Molise, dove l’aumento oscilla tra il 15% e il 17%. Andamenti negativi si sono invece rilevati in Calabria e Puglia (-19,7%), ma anche Basilicata (-9,5%), Liguria (-6,1%), Sardegna (-2,4%) e Umbria (-2%).
Tuttavia, lungi dal pensare alla nostra regione come ad una realtà virtuosa, possiamo invece appiopparle l’appellativo di lumaca. La nostra Isola, infatti, quando si parla di procedure fallimentari, è quella in cui si registra la durata media più alta. In altre parole, in Sicilia, la durata media di un iter fallimentare era di 11,9 anni nel 2014, cifra che si è ridotta a 11,6 nel 2015. Record negativi, poi, si sono rilevati nei territori di Siracusa e di Messina, dove la durata media di una procedura fallimentare supera rispettivamente i 16 e i 14 anni.
In posizione nettamente opposta alla Sicilia troviamo il Trentino Alto Adige, dove la durata media registrata nel 2015 è pari a 5,3 anni.
Relativamente celeri sono i tempi anche per quanto riguarda la Lombardia (5,7 anni), l’Emilia Romagna (6,6), il Piemonte (6,6) e il Friuli Venezia Giulia (6,8), mentre nel Mezzogiorno si concentra la maggior parte delle Regioni che se la prendono comoda.
Assieme alla Sicilia, infatti, anche la Basilicata e il Molise impiegano in media più di 11 anni per chiudere una procedura fallimentare. E allora, il dubbio che ci sia qualche falla nel sistema burocratico di tali regioni deve per forza sorgere.