Meno madri lavoratrici nel 2015. In 31 mila hanno lasciato il lavoro

ROMA – Figli e lavoro: binomio ancora spesso impossibile. Il numero di madri e padri che decidono di lasciare il lavoro nel primo anno di vita del proprio figlio (art 55 del Dlgs 151/2001) è infatti in aumento (la norma aggiornata dice che vanno convalidate le dimissioni date entro il terzo anno di vita). A rivelarlo la “Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri” presentata dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali lo scorso 8 giugno, redatta sulla base dei dati comunicati dalle strutture territoriali competenti.
Nel 2015 sono stati registrati 31.249 casi complessivi, a fronte di 26.333 casi nell’anno precedente (+19%). In una società in cui il ruolo genitoriale è ancora strettamente legato alla figura materna, le dimissioni di lavoratrici madri rappresentano l’82% dei casi (25.620); anche se sul fronte maschile si registra un notevole incremento del 46%, passando da 3.853 casi nel 2014 a 5.629 dell’anno in esame. Un dato in linea, secondo il ministero “con la sempre crescente tendenza ad una maggiore condivisione dei compiti di cura della prole”.
Il fenomeno riguarda principalmente i lavoratori tra i 26 e 35 anni con anzianità di servizio fino a 3 anni e che rivestono,nella maggior parte dei casi le qualifiche di impiegato e operaio. 
Particolarmente interessante è il paragrafo dedicato alle motivazioni addotte dai lavoratori che rivela come la carenza di servizi rivolti all’infanzia e di sostegni economici alle famiglie penalizzi ancora oggi i genitori che, di fronte al bivio, decidono di abbandonare il lavoro. Nel 31% dei casi, infatti, si tratta di motivazioni riconducibili alla difficoltà di conciliare il lavoro e la cura della prole. Nel dettaglio, l’assenza di parenti di supporto ha riguardato 4.791 casi, 3.548 i casi in cui è stata data come motivazione il mancato accoglimento al nido, infine 1.233 i genitori che hanno motivato la loro decisione con un’elevata incidenza dei costi di assistenza del neonato.
I dati suddetti sono in tutti e tre i casi in aumento ad attestare, si legge nella relazione “il persistente ruolo di supporto delle famiglie di origine delle lavoratrici/dei lavoratori per consentire la prosecuzione dell’attività lavorativa in presenza di figli, quasi a compensare la carenza di strutture di accoglienza sul territorio nazionale”.
Strettamente correlati alle difficoltà di conciliare lavoro e famiglia anche i dati relativi alle motivazioni concernenti il cambio di residenza, la distanza tra luogo di residenza e sede di lavoro e il ricongiungimento al coniuge, 1.526 casi in totale. Diminuisce leggermente, invece, il dato concernente la mancata concessione del part time, della flessibilità oraria o della modifica dei turni di lavoro. Il 16% dei lavoratori interessati dichiara, infine, di volersi dedicare in maniera esclusiva alla prole.
Un quadro tristemente noto quello sovra descritto sintomatico della carenza o dell’inefficacia delle misure di welfare fino ad ora messe in atto. In un’Italia in cui essere genitori è sempre più una sfida il tasso di natalità, intanto, continua a precipitare. Secondo i dati Istat il 2015 ha visto 15 mila nascite in meno rispetto al 2014.
 

 
Al Sud si registra il 13% del totale. In testa il Nord
 
Il divario occupazionale tra Nord e Sud si riflette, naturalmente, anche sul fenomeno in esame. È al Nord, infatti, che si registra oltre il 60% di convalide, pari a 18.897. il 26% dei casi riguarda il Centro, mentre al Sud le convalide nel 2015 sono state appena 4.060, ossia il 13% circa del totale. Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna le regioni più colpite al Nord, Lazio e Toscana quelle del Centro mentre Campania e Puglia la fanno da padrona al Sud. Per quanto concerne la distribuzione del fenomeno tra i settori produttivi, servizi e commercio sono quelli in cui si registra il maggior numero di convalide, rispettivamente il 37% e il 32%. Settori in cui, come ben evidenzia la relazione, vi è tradizionalmente un più alto tasso di presenza femminile. Mentre un residuo 17% si concentra nel settore industriale. Il numero di casi sembra essere strettamente correlato anche alle dimensioni dell’impresa in questione e cresce al diminuire delle dimensioni di quest’ultima. Il 56% dei casi di dimissioni/risoluzioni consensuali riguarda infatti dipendenti di piccole imprese, ossia quelle fino a 15 dipendenti, a seguire le imprese tra 16 e 50 dipendenti, cosiddette medie, con il 17%.