CATANIA – Si chiama “Out of Africa” ed è il primo festival di cultura africana che si svolgerà a Catania il 26 e 27 settembre presso il Cortile Platamone. Incontri, seminari, musica, cinema, teatro e molto altro ancora, per conoscere meglio la cultura africana e per riflettere sul fenomeno delle migrazioni, viste come incontro, dialogo e arricchimento tra culture diverse.
Abbiamo intervistato Maurizio Cuzzocrea, tra gli ideatori del Festival e presidente dell’Associazione AreaSud.
Come è nato questo progetto?
“Da molto tempo stavamo ragionando su cosa potevamo fare, come musicisti e operatori culturali, per contribuire a interpretare i fenomeni di migrazione che caratterizzano i nostri tempi. Avere Catania come base della nostra riflessione, ci ha portato immediatamente ad avere una dimensione mediterranea del problema, anche se il Mediterraneo non riesce a contenere e ad essere rappresentativo dei problemi di convivenza e di sviluppo economico e sociale che colpiscono le nostre realtà. Out of Africa parlerà di Africa ma non si fermerà all’Africa, anche perché è impossibile definirla in maniera univoca. L’edizione di settembre sarà un’edizione ‘zero’, la nostra presentazione di un progetto pluriennale in cui facciamo nostra l’ipotesi paleoantropologica che individua nel continente africano il luogo di partenze delle prime migrazioni umane e partendo dall’Africa anche noi vogliamo ripercorrere un percorso di migrazione per contribuire a un mondo migliore , in cui migrazione sia sinonimo di arricchimento e convivenza civile, non di povertà, emarginazione, razzismo e violenza”.
Chi sono gli organizzatori del Festival?
“Come altre nostre iniziative, il festival nasce da una rete di relazioni e collaborazioni che ormai dura da anni. AreaSud lavora in sinergia costante con l’associazione Darshan, che è uno dei principali organizzatori di eventi musicali e culturali in Sicilia e con cui realizziamo da anni progetti musicali e culturali, tra cui Zampognarea, un evento annuale dedicato al mondo delle zampogne e delle cornamuse. Insieme abbiamo coinvolto nella direzione artistica Jali Diabate, un musicista senegalese che vive da anni a Catania ed è un bravissimo suonatore di kora, lo strumento tipico dei griot del Mande. La comunità senegalese è una delle più grandi a Catania e penso sia la prima volta in Sicilia che un festival affida la direzione artistica a un musicista straniero immigrato in Italia. Anche questo è un piccolo passo verso una piena integrazione culturale. Out of Africa ha anche il sostegno istituzionale dell’assessorato regionale al Turismo e del Comune di Catania, che ne hanno immediatamente colto la valenza artistica e politica e il patrocinio dell’Ambasciata del Senegal in Italia”.
L’Associazione AreaSud, di cui lei è presidente, si è già occupata in passato di eventi del genere finalizzati alla conoscenza di culture e all’integrazione?
“AreaSud è nata dall’incontro di musicisti, studiosi, ricercatori e appassionati di culture tradizionali e abbiamo subito iniziato a lavorare per dimostrare il valore delle forme espressive in ambito artistico delle culture meridionali e mediterranee. Sono numerosi gli artisti che vivono in Sicilia che sono stati coinvolti nelle nostre iniziative, dallo stesso Jali Diabate, al cantante palestinese Faisal Taher, all’iraniano Karim Alishahi. Il nostro desiderio è quello di fare emergere le affinità presenti nelle espressioni musicali delle culture tradizionali. Anche nel progetto Zampognarea, sugli strumenti ad ancia, portiamo a conoscenza del pubblico strumenti stranieri affini alle nostre ciaramelle, come il mezoued tunisino o lo hulusi della regione cinese dello Yunnan”.
Quali saranno i momenti più importanti ed educativi del Festival?
“Non saprei scegliere. Il programma è molto denso e abbiamo fatto il possibile per renderlo attraente per diverse fasce di pubblico e per gusti diversi. Ci saranno le proiezioni in collaborazione con il Festival del Cinema di Frontiera di Marzamemi e gli incontri con politici e studiosi italiani. Molto interessanti saranno i workshop con gli artisti che si esibiranno il 27 sera, perché in quell’occasione sarà possibile conoscere meglio la loro personale storia di migrazione e di confronto tra la cultura musicale d’origine e quella che hanno incontrato in Italia”.
Un Festival che vuole dare voce alla cultura africana e che vuole lanciare un messaggio ben preciso di integrazione. Cosa vi aspettate dal pubblico? Quali segnali volete lanciare?
“Noi ci aspettiamo soprattutto il pubblico, perché ci sforziamo di pensare alla musica e all’organizzazione di eventi artistici non come un oggetto da consumare, ma come un’occasione di crescita per il territorio nel quale operiamo. Cercheremo insieme di rispondere a una domanda: dove stiamo andando? Vorremmo capire dove va Catania, la Sicilia, l’Italia, il Mediterraneo per provare insieme a dare risposte efficaci, utilizzando gli strumenti che abbiamo a disposizione: l’arte e le culture”.