Le Pmi siciliane ostili alle innovazioni

PALERMO – L’innovazione non è di casa tra le imprese italiane, ancor meno tra quelle siciliane. Lo rivelano gli ultimi dati Istat, pubblicati proprio ieri, che mettono in evidenza come, nel triennio 2012-2014, il 44,6% delle imprese con 10 o più addetti abbia svolto attività finalizzate all’introduzione di innovazioni. Il dato è in contrazione rispetto all’ultima rilevazione (2010-2012), quando la quota di imprese innovatrici aveva raggiunto il 51,9% (7,3 punti percentuali in più), un calo che l’Istituto di statistica giustifica “in parte rilevante dalla riduzione degli investimenti in innovazioni organizzative e di marketing”. La Sicilia, assieme alla Campania, costituisce il fanalino di coda dell’innovazione nazionale, ma è tutto il mezzogiorno ad andare male.
L’analisi più dettagliata dei numeri rivela una duplice condizione. Da una parte c’è la propensione innovativa tra le grandi imprese (83,3%, +0,8 rispetto all’ultima rilevazione) e dall’altra la contrazione tra le piccole e media imprese che crollano di 8 punti percentuali rispetto al triennio precedente (41,3%). Tra i vari comparti è l’industria a restare il settore più innovativo con poco più della metà delle imprese che hanno investito in attività di innovazione. A seguire ci sono i servizi (42,2%) e le costruzioni (30,5%).
Veniamo ai numeri in valore assoluto. Nel 2014 la spesa per innovazione delle imprese italiane è stata pari a 23,2 miliardi di euro (-4,2% rispetto al 2012) e di questo importo il settore di ricerca e sviluppo (R&S) si prende quasi la metà della spesa complessiva. Funzionano anche i contributi pubblici, un dato lievemente in crescita rispetto al triennio 2012-2014, dal momento che il 23,6% delle imprese innovatrici ha dichiarato di aver beneficiato di incentivi statali (precedentemente era stato il 20,7%).
La distribuzione geografica, come da tradizione, si presenta assai variegata. Lo riassume l’Istat in una breve nota: “dal Nord al Mezzogiorno si riduce la propensione delle imprese a innovare”. Il giudizio continua sintetico e deciso: “le regioni del Nord continuano a registrare una maggiore capacità innovativa; indipendentemente dalla composizione produttiva, aumenta il gap delle regioni meridionali con il resto del Paese”.
Ad avere in mano l’innovazione del Paese sono cinque regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Lazio. In queste realtà si concentrano due terzi delle imprese innovatrici d’Italia e contribuiscono per tre quarti alla spesa nazionale per l’innovazione. Nel polo opposto, cioè quello che condensa una “minore propensione all’innovazione”, troviamo tutte le regioni del Mezzogiorno. Tra queste sono Campania e Sicilia e fare peggio di tutte, dalle loro parti “solo un terzo delle imprese investe in attività innovative”. È un male tipicamente meridionale: “considerando l’incidenza delle imprese innovatrici in senso stretto – si legge nel rapporto dell’Istat –, il gap del Mezzogiorno è ancora più evidente: gran parte del Nord ha tassi di innovazione superiori alla media nazionale, delle regioni centrali solo la Toscana registra livelli sopra la media, mentre tutte le regioni meridionali sono collocate sotto la media, anche se Basilicata e Calabria registrano una maggiore frequenza di imprese innovatrici”.