CATANIA – La crisi finanziaria della Simeto Ambiente Spa non è una novità: le recenti dimissioni dell’amministratore unico, Salvatore Garozzo, della società che gestisce la raccolta dei rifiuti per conto dei 18 Comuni rientranti nell’Ato Ct3 ne sono solo l’ultima prova. Meno risapute sono le cifre del dissesto.
Costituita nel gennaio 2003 per “assicurare – secondo il dettato dello Statuto – la gestione unitaria ed integrata dei rifiuti secondi criteri di efficienza, efficacia ed economicità”, la Simeto Ambiente Spa ha accumulato 150 milioni di euro di passività: il bilancio 2008 è stato infatti chiuso con un rosso totale di € 149.979.840. Una montagna di debiti pareggiata solo dai cumuli di rifiuti che ciclicamente si accumulano per le strade a causa del mancato pagamento del servizio di raccolta fornito dal Consorzio Simco, i cui dipendenti, senza stipendio, incrociano le braccia sempre più spesso.
Si è così cominciato ad agire in situazioni di emergenza a discapito dei cittadini e dei Comuni, costretti ad intervenire. La L. R. 19/05 (art. 21, comma 17) ha infatti istituito presso l’assessorato regionale della Famiglia, delle Politiche sociali e delle Autonomie locali un “fondo di rotazione, in favore delle società degli ambiti territoriali ottimali, destinato a garantire la copertura delle spese inerenti la gestione integrata dei rifiuti nei casi di temporanee difficoltà finanziarie”.
Le difficoltà finanziarie però, anzichè temporanee, sono divenute croniche ed il Fondo di rotazione si è rivelato un salasso per le casse comunali poiché le richieste di accesso da parte delle Società d’Ambito si sono moltiplicate, divenendo sempre più onerose. Per quanto riguarda l’Ato Ct3 l’ultimo decreto di concessione per l’accesso al Fondo di rotazione risale al 24 Luglio 2009: 4 milioni di euro che i 18 Comuni saranno poi costretti a ripianare.
Un modus vivendi insostenibile per le amministrazioni locali, nei confronti dei quali la Simeto Ambiente continua ad accumulare debiti per svariati milioni di euro: 4 nei confronti di San Giovanni la Punta, 2,5 di Mascalucia, altrettanti per Pedara, circa 3 per Belpasso e così via.
“L’Ato – spiega Nuccio Martorana, ragioniere capo del Comune di Belpasso – ha due teste: una privata, in quanto Spa, ed una pubblica, perché i soci sono solo enti pubblici. L’essere soci non dà ai Comuni alcun reale contro sul consiglio di amministrazione, ma tuttavia li costringe a condividere le perdite. Il costo che ogni ente locale doveva sopportare per la pulizia della città è così raddoppiato: oggi per il territorio di Belpasso si spendono circa 3,5 milioni di euro l’anno, mentre fino al 2004, per lo stesso servizio, non si andava oltre 1,9 milioni annui”.
Il cittadino dunque oltre al danno di bollette aumentate mediamente del 300%, secondo le stime fornite dalla Federconsumatori, subisce la beffa di amministrazioni comunali condotte verso il disavanzo e costrette a restringere sempre più l’erogazione anche di servizi primari.
Il primo seme della rovina era già stato gettato nel 2002 quando il commissario delegato per l’emergenza rifiuti in Sicilia, l’allora Presidente della Regione Salvatore Cuffaro, anziché istituire una società Ato per ogni provincia, come in Emilia Romagna, ne istituiva ben 27 con relativa moltiplicazione dei costi e dei centri di potere: strutture, consigli d’amministrazione, collegi dei revisori, consulenti ed altro.
Il conseguente rincaro delle bollette, complice anche il passaggio da Tarsu a Tia, ha poi determinato l’insolvenza dei contribuenti. Le statistiche mostrano percentuali di riscossione delle imposte, in appalto alla Serit Spa, in drastico calo: meno del 50 per cento dei contribuenti paga le tasse.
In alcuni Comuni tale percentuale si abbatte fino al 10 per cento provocando il cortocircuito del sistema: “L’unica via d’uscita – ha commentato Angelo Leggeri, dirigente del settore E.C.A. per il Comune di San Giovanni La Punta – è puntare sulla raccolta differenziata, che da un lato consente di abbattere i costi di discarica e dall’altro di accedere alle premialità previste dalla legislazione nazionale”.