Vi è poi un’altra questione relativa al mancato impiego del risparmio e riguarda il livello di conoscenze indispensabili per le innovazioni, da cui appunto deriva la nascita di startup. Comunque di nuove imprese, anche nel settore non innovativo, perché senza conoscenze nessuna azienda può essere attivata e quelle esistenti, non aggiornandosi continuamente, perdono competitività e via via sono espulse dal mercato.
Purtroppo, lo Stato italiano investe appena l’1% del Pil (16 miliardi circa) nella ricerca, che è la madre dell’innovazione, mentre la maggior parte dei Paesi avanzati spende almeno il doppio. Spendendo poco nella ricerca, viene meno la competitività e, per conseguenza, la crescita, mentre l’occupazione non aumenta adeguatamente.
Da questo scenario, risultano evidenti le cause della disoccupazione giovanile, che nel Sud ha raggiunto il 42% contro la disoccupazione media nazionale che è dell’11,6% (Istat, settembre 2016).
L’impreparazione dei giovani è conseguenza di scuola e Università arretrate e anche perché scollegate dal mondo del lavoro.
A questi giovani bisogna dare opportunità di lavoro, non raccomandazioni per essere assunti nel settore pubblico o privato, perché questo meccanismo distorce il rapporto fra i cittadini.
Gli insegnanti bravi dovrebbero insegnare, come requisito principale per avere successo della vita, il valore del merito e l’altro valore non meno importante che è quello della responsabilità conseguente al dovere di ogni cittadino di prendere decisioni e diventare operativo.
È difficile cambiare la mentalità italica basata sulla cultura del favore, che è a sua volta basata sullo scambio fra favore e bisogno. Tuttavia, non si può pensare di diventare una nazione progredita, che cresca al ritmo di 2/3 punti di incremento di Pil all’anno, se non si agisce profondamente su tutti i comparti, in modo che diventino efficienti sulla base, ripetiamo, dei valori di merito e responsabilità.
In questo quadro, l’Università ha maggiore responsabilità, per il momento disattese.