Servizi per la prima infanzia. Il Mezzogiorno resta in coda

ROMA – In riferimento all’erogazioni e alla qualità dei servizi comunali per la prima infanzia, le disparità territoriali continuano a essere sistematiche e determinanti, con una particolare penalizzazione per il Mezzogiorno.
In Sicilia, per esempio, per 100 bambini da 0 a 2 anni, la media del numero dei giovanissimi presi a carico da tali servizi per l’anno 2013-14 è del 5%. Seguono, tra le ultime posizioni, Puglia (4,5), Campania (2,7) e Calabria (1,4). è quanto emerge dal capitolo del rapporto Bes 2016 dell’Istat dedicato alla qualità dei servizi. La media del Mezzogiorno, che è infatti del 4,6%, continua a essere molto lontana da quella del Centro (17,8), del Nord (17,0) e del Paese in generale (12,9). Guidano la classifica l’Emilia-Romagna (26,2) e la provincia autonoma di Trento (24,2).
Come già segnalato nelle precedenti edizioni del rapporto, questi differenziali negativi in materia di disponibilità e di qualità dei servizi (le dotazioni sono sistematicamente inferiori agli standard e alle medie nazionali) acuiscono, piuttosto che alleviare, i disagi legati ai differenziali di natura economica. Eccezioni si evidenziano per i servizi energetici, con l’ampliamento notevole della rete del gas metano nel Mezzogiorno, e per la situazioni nelle carceri, mediamente meno affollate.
In generale, l’offerta dei servizi socio-educativi per la prima infanzia continua a diminuire, proseguendo un andamento in atto già dal 2011. Nell’anno scolastico 2013/2014, infatti, i bambini fino a 2 anni accolti in asili nido e in servizi integrativi comunali o finanziati dai comuni sono stati quasi 207 mila, circa 3 mila e 400 in meno rispetto all’anno scolastico precedente, in linea con gli andamenti demografici. In rapporto al potenziale bacino di utenza, gli utenti dell’offerta comunale complessiva rappresentano una percentuale piuttosto bassa, e in lieve diminuzione, dal 13% al 12,9% dei bambini sotto i tre anni.
Dal punto di vista del tipo di gestione, l’offerta pubblica di asili nido si esplica prevalentemente nei nidi comunali, dove risultavano iscritti quasi 146 mila bambini. Gli utenti dei nidi privati convenzionati sono stati circa 31 mila e poco più di 14 mila e 500 utenti hanno beneficiato dei contributi dati dai comuni direttamente alle famiglie, per la frequenza di asili nido pubblici o privati (compresi i voucher). I bambini iscritti nei nidi comunali rappresentano l’85% dei posti disponibili nel settore pubblico, mentre gli utenti dei nidi privati convenzionati con i comuni corrispondono al 19% dei posti autorizzati al funzionamento nel settore privato. Nella media nazionale i posti sono 22,5 per 100 bambini, al di sotto dunque dell’obiettivo del 33% fissato dalle strategie dell’Unione europea per promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la conciliazione della vita familiare e lavorativa.
Anche la spesa corrente impegnata dai comuni per questi servizi risulta in calo. L’importocomplessivo della compartecipazione a carico delle famiglie è rimasto invece invariato e aumenta, di conseguenza, la quota sostenuta dagli utenti sulla spesa complessiva per gli asili nido: nell’arco di dieci anni è passata dal 17,5% al 20%.
 

 
Ridotte capacità di spesa da parte dei Comuni
 
La valutazione della qualità dei servizi pubblici richiede l’analisi di una pluralità di aspetti, tra cui spiccano quelli dell’accessibilità, dell’equità e dell’efficacia. L’integrazione tra assistenza sociale e assistenza sanitaria è uno dei punti qualificanti della riforma del 2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali): la strategia d’azione è rivolta ai bisogni specifici delle persone con rilevanti problemi di salute e a quelle, minori o adulti, con problemi legati al disagio sociale ed economico ed è attuata attraverso strutture e servizi, offerti da Regioni e Enti locali.
Le ridotte capacità di spesa dei comuni – condizionati dai pressanti vincoli imposti dal Patto di stabilità interno, dalla crisi economica e dalle riduzioni dei trasferimenti statali – hanno avuto l’effetto paradossale di ridurre il divario, per la contrazione della quota specialmente al Nord, a fronte della stabilità di quella del Mezzogiorno. Considerando sia l’offerta pubblica sia quella privata, il divario tra le due grandi ripartizioni si mantiene ampio: la media di posti disponibili per 100 bambini sotto i tre anni è di 28,2 al Centro-Nord e di 11,5 nel Mezzogiorno.