Pa, su riforma Madia in Sicilia tutto tace

ROMA – L’Italia a due velocità, quella del Nord ricco e prospero e del Sud in perenne ritardo e affanno, non esiste solo in riferimento all’economia, ma anche e soprattutto in riferimento alle leggi. E l’anello di disgiunzione, almeno nel caso della Sicilia, è spesso e volentieri rappresentato dallo Statuto speciale.
Un caso eclatante, in tal senso, è rappresentato dalla Riforma della Pubblica amministrazione, la c.d. “Riforma Madia” (L. 124/2015) che, con gli ultimi cinque decreti legislativi “partoriti” qualche giorno fa dal Consiglio dei ministri, ha concluso un lungo iter legislativo durato quasi due anni. Ne è valsa comunque la pena perché, anche se il cammino verso un efficientamento vero della macchina amministrativa appare ancora lungo e tortuoso, s’intravedono già margini di miglioramento sul fronte dell’organizzazione e dell’efficienza della cosa pubblica. La norma sui licenziamenti lampo dei furbetti del cartellino, ad esempio, come ha confermato lo stesso  ministro “sta funzionando, ci sono decine di casi in cui è stata applicata”.
In Sicilia, invece, no. L’Intesa Stato-Regione, firmata dal presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, lo scorso 20 giugno, introduce per la nostra Isola tutta una serie di novità che vanno nella direzione di una diminuzione significativa della spesa corrente e degli sprechi, a favore di un aumento consistente degli investimenti.
Il “cuore” del documento è rappresentato proprio dal recepimento da parte dell’Assemblea regionale siciliana della legge Madia. Sull’intervento legislativo dei Figli d’Ercole, però, al momento, tutto tace.
In un’intervista al Quotidiano di Sicilia dell’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, quest’ultimo aveva dichiarato che il recepimento è contenuto nella Finanziaria 2017 che, tuttavia, non è riuscita a vedere ancora la luce. Lo stallo politico, dunque, si rivela ancora una volta il nemico numero uno delle riforme di cui la Sicilia ha assoluto bisogno.
Il tema dei furbetti del cartellino, ha detto il ministro, “noi lo abbiamo affrontato senza una enfatica demonizzazione a fine di consenso, lo abbiamo affrontato con norme di buon senso equilibrate, abbiamo detto ‘Scusate, se io vedo con una prova schiacciante che un dipendente pubblico sta truffando, è normale che io debba aprire un procedimento disciplinare che magari dura quattro mesi e che poi magari ha un esito, il licenziamento, che viene annullato da un giudice perché in quei quattro mesi il procedimento disciplinare ha avuto un vizio formale? Non è giusto perché la prova era schiacciante e l’errore c’era stato, quindi con una norma equilibrata abbiamo detto semplicemente che se è evidente che è sbagliato – a maggior ragione perché sei nella Pubblica Amministrazione e quindi lavori per la collettività e stai truffando tutti – io immediatamente devo fare in modo che tu abbia una sanzione, che tu sia licenziato. Quello su cui siamo intervenuti è il lassismo nel sanzionare chi era aveva sbagliato evidentemente”.
Quindi se il dirigente non licenzia il dipendente- truffatore, è il dirigente stesso che deve essere licenziato. In Sicilia ancora no, c’è tempo.