C’è una sotterranea guerra in atto, in Italia. E questa guerra si combatte sulla maniera di considerare gli italiani. Se siano cioè “popolazione”, grande massa informe da governare come una mandria di pecore, come vengono intesi da certa politica e dalla burocrazia, oppure un insieme di cittadini, con diritti e doveri come da sempre ogni buon giornale considera i propri lettori. E i cittadini hanno tre doveri fondamentali: pagare le tasse, rispettare le leggi, e informarsi per poter esprimere un voto libero e consapevole.
“Informarsi? – protesterà qualcuno – Ma se io ho già le mie idee, non basta lavorare onestamente? Non basta pagare le tasse e rispettare le leggi?”.
No, non basta. E per spiegare che è così mi servirò di un esempio. Immaginate un padre e una madre oberati di lavoro, che fanno di tutto per accontentare i propri figli e garantire loro un futuro migliore. Per raggiungere questi obiettivi, visto il tempo limitato, rinunciano a informarsi, se non genericamente, sullo stato d’animo dei loro ragazzi, sugli studi, sulle amicizie. Poi scoprono che qualcuno dei loro figli è caduto nella trappola della droga o è stato coinvolto in fatti criminali e cominciano a chiedersi come sia stato possibile.
La risposta è che se certi genitori non si fanno mai troppe domande è spesso per il timore di scoprire qualcosa che li costringa a intervenire. Alla stessa maniera, chi non compie il proprio dovere di cittadino informandosi, è perché teme di dover poi agire di conseguenza, magari mutando delle idee cui è affezionato.
Così si preferisce far finta di informarsi: di un giornale si leggono solo i titoli delle pagine sportive o le notizie, che prendono sempre più piede anche in tv, del cosiddetto gossip. Oppure si legge un solo giornale, quello che ti dice ciò che ti aspetti di sentirti dire.
Per contro ci sono giornalisti che – sfiduciati, sotto la pressione della politica o di certi editori, oberati di lavoro o, semplicemente, schierati – rinunciano a far bene il proprio mestiere. E realizzano articoli e titoli accomodanti, interviste in ginocchio, articoli di fondo apologetici.
In una simile situazione è ovvio che la fiducia tra stampa e lettori – quella che, secondo l’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti dovrebbe essere promossa non soltanto dagli operatori dell’informazione, ma anche dagli editori – si indebolisce sempre di più.
Ci sono però giornalisti e testate che questa fiducia la fanno crescere. Perché insistono sul vecchio mestiere dell’omino con il taccuino e la penna che si reca in un luogo e pone domande anche scomode, sempre lecite, pretendendo risposte e spiegazioni, perché deve riferirle al suo unico padrone, il cittadino-lettore.
Uno di questi giornali compie quest’anno trent’anni: è il “Quotidiano di Sicilia”, che si occupa di politica economica senza paura di affondare la lama dell’inchiesta in una realtà complessa e in continua evoluzione come quella della società siciliana.
Ricordiamoci dei suoi servizi speciali, “scoop” spesso ripresi dalle grandi testate nazionali e sempre più numerosi negli ultimi anni. Ricordiamocene quando si tratterà di fare il nostro dovere cercando fonti d’informazione corrette, complete e affidabili. Per non essere retrocessi da cittadini a “popolazione”.