Il nostro compito è quello di cercare la verità. Ma molti di noi, invece, cercano la notorietà. Quest’ultima è diventata un bene economico, perché più si è noti e più si viene pagati, per cui c’è la rincorsa alle ospitate in radio e televisioni, nonché le code per scrivere su quotidiani e periodici (meno).
Se ci fate caso gli ospiti sono quasi sempre gli stessi: alcuni bravi, ma molti pontificano, poggiando su una crassa ignoranza, espressa con una dialettica modesta, priva di argomentazione e di riferimento alle importanti figure retoriche.
La maggior parte degli ospiti cita dati a caso, guardandosi bene dal riferirsi alle fonti ufficiali. Usa le parole e non i concetti, parole spesso poste in sequenza senza la capacità di fare una comunicazione comprensibile e decifrabile.
Il peggio di quanto scriviamo è quando questo modo di comportarsi viene usato dai giornalisti. Non è un caso che gli editorialisti siano relativamente pochi, ben pagati giustamente, mentre la maggior parte scrive banalità e soprattutto cronaca, non controllata, come sarebbe obbligo, da almeno due o tre fonti. Senza controllo l’informazione è dannosa.
Sentiamo spesso personaggi, anche minimi, proclamare la loro intenzione di formulare querele. Ma se ci fate caso ne viene presentata forse una su mille. La parola querela è diventata un modo che esprime la voglia di farsi pubblicità, la quale è una sorta di illusione quando non rappresenta contenuti veri e seri.
Il nostro tempo è carico di illusioni: non è frutto di un progetto e di un obiettivo, ma solo di parole vuote e di ipotesi di terzo tipo che quasi mai, anzi mai, si realizzano.
La ricerca della verità è come la ricerca del Sacro Graal. Qualcuno dice che l’ha trovata e qualche altro che non ce l’ha fatta. La verità non è un obiettivo fisso, ma uno stato in divenire continuo perché non è formato da pilastri e travi di cemento armato, ma di fatti che accadono, di cui non sempre si ha contezza e possibilità di verificarli.
Tuttavia, noi giornalisti abbiamo il dovere di fare il possibile per procedere ai riscontri e all’incrocio di essi per essere orgogliosi del nostro mestiere e degni di chiamarci giornalisti.