Ricerca e innovazione, la Sicilia dorme

PALERMO – Alla fine di aprile l’Istat ha diffuso l’ultimo aggiornamento della banca dati degli “Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo” con circa 316 indicatori a livello regionale e sub regionale.
I numeri più freschi sono arrivati dal settore “ricerca e innovazione” che rappresenta uno dei campi di azione prioritari per l’Ue. Non lo è, invece, per la Sicilia che continua a produrre numeri da ultima della classe, mentre gli investimenti a tutti i livelli restano al minimo. In particolare, l’indice che riguarda gli investimenti privati è tra gli elementi che destano maggiore preoccupazione, così come quello relativo alla sopravvivenza a tre anni delle imprese high tech, meno di una siciliana su due ce la fa.
C’è un indice che riesce a definire al meglio il peso delle attività di ricerca e sviluppo. Si tratta, appunto, del numero degli addetti nel settore R&S (università, enti pubblici e privati) calcolate come unità espresse in equivalenti tempo pieno per mille abitanti. L’ultimo anno di riferimento (2013) definisce una media nazionale in crescita rispetto agli anni passati (4,1) che vale più del doppio del dato siciliano (1,8), senza considerare che ci sono regioni, come l’Emilia Romagna (6,7), che addirittura vanno oltre il triplo. Inferiore alla media anche il numero di ricercatori in percentuale sul numero di addetti, con la Sicilia che si ferma allo 0,2% contro lo 0,3% nazionale e lo 0,5/0,6% delle regioni più avanzate.
Direttamente collegato a questo indicatore, c’è l’incidenza della spesa totale per R&S sul Pil (percentuale). Almeno in questo caso c’è una buona notizia: in Sicilia questo dato è continua crescita – passato da 0,51% del 1995 a 0,89% del 2013 – anche se deve ancora rincorrere la media nazionale che vale l’1,31% del totale. La regione più impegnata negli investimenti è il Piemonte con poco più del 2%. Scomponendo questo valore nelle due componenti principali, spesa pubblica e privata, scopriamo che nell’Isola è soprattutto il pubblico (Pa e Università) a spingere il settore (0,6% del pil, stesso dato italiano). Decisamente assente il peso dei privati che vale lo 0,3% del totale del Pil. Un dato significativo anche del ritardo isolano, perché le regioni che investono più intensamente nelle attività di ricerca e sviluppo lo fanno principalmente tramite il privato. Su tutti c’è l’esempio del Piemonte con l’1,6% che viene dalle imprese e soltanto lo 0,4% dal pubblico.
Allargando il raggio d’azione alle imprese nei settori ad alta intensità di conoscenza (high-tech),  qualcosa sembra cambiare, ma solo in apparenza. Il tasso di natalità isolano, in valore percentuale, è pari a 10,5%, nel 2014, e riesce persino a fare meglio del risultato medio nazionale che supera di poco il 9%. Tuttavia è abbastanza emblematico il dato relativo al tasso di sopravvivenza a tre anni delle imprese nei settori ad alta intensità di conoscenza. Nell’Isola il dato è in netta contrazione ed è passato dal 63,7% del 2007 al 41,8% del 2014. Anche la media nazionale è in contrazione, ma il risultato è comunque più contenuto (48,6%), mentre, in generale, soltanto in pochissime regioni un’impresa su due riesce a restare sul mercato a tre anni dalla sua creazione. I risultati migliori si registrano soprattutto nell’area settentrionale con le buone performance di Lombardia, Trentino Alto-Adige e Veneto.