PALERMO – L’ennesimo atto che sconfessa la funzione del sistema idrico regionale arriva dall’Istat che il 10 dicembre scorso ha pubblicato il “Censimento delle risorse idriche a uso civile”.
Il quadro che ne deriva per l’Isola è assolutamente negativo in termini di perdite di rete e complessive, ma anche in termini di consumo.
I dati dell’Istituto di Statistica fanno il paio col “Rapporto sui Servizi Idrici” del Coviri dello scorso luglio e delineano un quadro fatiscente delle strutture e infrastrutture isolane. Sotto accuse le condotte idriche e il sistema di depurazione, ma anche le tariffe richieste ai siciliani.
Non passa giorno che qualche “Cassandra” profetizzi l’amara implosione del fatiscente sistema idrico isolano. Il Censimento delle risorse idriche a uso civile dell’Istat continua l’operazione di svelamento delle criticità del sistema idrico isolano, già impietosamente analizzato dal rapporto del Coviri dello scorso luglio. I dati più allarmanti riguardano sempre il sistema delle condutture, con perdite che portano la Sicilia ben lontana dagli standard che deve realizzare entro il 2013. In questa realtà improduttiva anche lo stato degli invasi, privatizzato da qualche anno, langue in un deficit imbarazzante, mentre le imprese che da tempo si sono insediate nel sistema acque dell’Isola annunciano grandi investimenti. Ma chi pagherà tutto questo?
La risposta al quesito su cui verte l’intera questione dell’acqua comincia ad apparire chiara sin da ora, in quanto, nonostante le formali smentite dei fautori del sistema di privatizzazione delle gestione acqua iniziato con la Legge Galli nel 1994 e concluso qualche settimana fa con l’approvazione del decreto Ronchi, le bollette stanno già lievitando così come le disparità tra aree.
In Sicilia si pagano 1,36 euro al metro cubo, secondo l’ultimo rapporto Utilitas di Federutility, e nel giro di pochi anni, entro il 2015, questa cifra toccherà quota 1,52 euro a metro cubo, una media tra le più alte del Meridione, ma elevata anche per il Nord del Paese, come Veneto, Friuli, Lombardia e Piemonte, dove i servizi sono certamente più adeguati.
Partiamo dunque proprio dai servizi. Come funziona il nostro sistema? I dati diffusi dall’Istituto di statistica sono chiari: il rapporto tra acqua prelevata su acqua erogata è pari al 55% (dispersione totale) mentre il rapporto tra acqua immesse su acqua erogata è pari al 54% (dispersioni di rete). Questi dati che piazzano l’Isola nella parte bassa della classifica delle regioni italiane lasciano ben poche speranze anche sulla possibilità che la Sicilia rientri nell’ambito del meccanismo premiale degli Obiettivi di Servizio per le regioni del Mezzogiorno, che fissa al 2013 un valore target di acqua non dispersa pari al 75% dell’acqua immessa nelle reti comunali (cioè quella in uscita dai serbatoi comunali). Le dispersioni totali “si basano di solito sulla necessità di garantire una continuità di afflusso alle condutture – si legge nel rapporto – e alle adduzioni di acqua all’ingrosso concesse a imprese industriali (in genere alimentari) e, dall’altro, a prelievi non autorizzati (ad esempio, a fini agricoli), a perdite delle condotte o ad una mancata regolazione del prelievo al variare periodico delle necessità”.
Ad esempio proprio una recente inchiesta del Quotidiano di Sicilia ha svelato, utilizzando un rapporto diffuso dalla Regione sui consumi di acqua delle Asi, come l’acqua per uso civile finisca poi spesso per essere utilizzata per fini industriali, ad esempio l’Asi di Siracusa nel 2008 ha consumato 2.762.363Mc di acqua. Sulle dispersioni di rete invece la questione appare ancora più preoccupante.
A parte i sette punti percentuali sotto la media italiana sono le grandi città isolane a testimoniare la fragilità dell’intero sistema: Palermo, seconda peggiore d’Italia, immette 88 litri di acqua per 100 litri di acqua erogata, quindi 188 litri per arrivare a quota 100, e Catania non è da meno col quarto posto nazionale e 63 litri immessi in più. Gli enti gestori, dietro cui si nascondono in maniera più o meno velata le grandi multinazionali dell’acqua come la francese Veolia o la spagnola Acqualia, spiegano gli aumenti delle tariffe con la necessità di investire sul deficit infrastrutturale. “In 2 anni abbiamo agito su 53 comuni – ha precisato Lorenzo Serra, ad Aps – e di questi in 23 abbiamo ridotto la turnazione, in 12 comuni l’acqua erogata è h24, mentre in 18 comuni nessun miglioramento ancora”.
Il Forum dei movimenti dell’acqua isolano però denuncia l’inattendibilità di queste promesse e per bocca di alcuni suoi rappresentanti, come Antonella Leto e Licia Minacapilli, rilanciano le loro perplessità sulla effettiva ripresa del sistema. “In Sicilia – ha commentato Minacapilli – gli enti gestori dovranno ammortizzare gli investimenti per le infrastrutture carenti e per la necessità di mantenere in organico anche il personale in esubero”.