La dissennata opera del sindacato del pubblico impiego, che ha sempre livellato verso il basso i contratti nazionali, ha contribuito ad abbassare la qualità dei servizi e, soprattutto, a non distinguere dirigenti e dipendenti bravi e onesti da quelli incapaci e disonesti.
Mancando la graduatoria, cui avrebbe posto rimedio la Legge Brunetta di qualche anno fa, e mantenendo tutti sullo stesso piano, si è ottenuto il triste risultato di avere 4,2 milioni di cittadini italiani che non rendono i servizi per cui costano.
Non essendoci la necessità di faticare, di sacrificarsi, di essere preparati, il posto pubblico è diventato una specie di sussidio, per cui negli uffici si vedono vagare persone che non fanno alcun lavoro o lo fanno poco e male, oltre alla piaga dei cosiddetti furbetti del cartellino.
Le indagini sempre più frequenti delle Procure della Repubblica, fondate su video e intercettazioni inequivocabili, hanno dimostrato senza dubbio la vastità del fenomeno, secondo cui si può andare nel posto pubblico di lavoro, timbrare e uscire immediatamente per farsi poi i propri affari.
Quando vengono messi a concorso i posti pubblici, c’è la ressa di decine di migliaia di cittadini e, in qualche caso di centinaia di migliaia di essi, i quali sanno che una volta entrati non dovranno usare grandi capacità né fare sacrifici. Insomma, vogliono entrare in un posto dove vi sono soltanto vantaggi e nessun costo relativo.
Questo meccanismo è squilibrato rispetto a quello del posto privato, laddove invece vi è uno stretto rapporto fra compenso e rendimento. Uno squilibrio che andrebbe eliminato, perché non è possibile avere lavoratori di serie A (quelli pubblici) e lavoratori di serie B (quelli privati).
Come intervenire? Inserendo nel pubblico impiego precetti costituzionali e meccanismi organizzativi uguali a quelli del settore privato. Inoltre, ripartendo lo stipendio in una parte fissa e in una seconda variabile in base ai risultati prodotti.
È tempo di eliminare i privilegi e di mettere in competizione tutti i lavoratori italiani, pubblici e privati, in modo da formare un’osmosi fra i due settori e rendere appetibili i posti pubblici e quelli privati allo stesso modo, tagliando chi abusa della propria condizione.