Per i milioni di immobili a rischio sismico le soluzioni preventive ci sono, adottate anche da altri Paesi. Non è più accettabile che lo Stato spenda per risarcire i danni e ricostruire gli immobili pubblici e privati, molto di più di quanto spenderebbe se adottasse misure preventive.
Fra queste, rendere obbligatoria l’Assicurazione antisismica, così come quella per la Responsabilità civile auto. Ovviamente, in una siffatta legge, dovrebbero essere inseriti tre correttivi: il primo è quello di stabilire le tariffe massime in relazione alle zone sismiche, e quindi alla pericolosità, alla tipologia degli immobili (civili abitazioni o commerciali), alla loro ubicazione (alta o bassa densità costruttiva) e così via. Tali tariffe dovrebbero essere controllate dall’Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni).
Una seconda misura correttiva riguarderebbe la detrazione, almeno parziale, del premio assicurativo dall’Imu dell’immobile o, nel caso di prima casa esente da Imu, dalle imposte sulla stessa.
Una terza misura si riferirebbe all’assicurazione che lo Stato dovrebbe fare su tutti gli immobili in proprietà e sugli altri confiscati che vengono affidati all’Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati. Gli immobili in locazione, invece, sarebbero assicurati dai proprietari.
In un altro editoriale abbiamo descritto le agevolazioni fiscali esistenti per cittadini e imprese che spontaneamente intendano realizzare opere per rendere resistenti gli immobili fino al settimo grado della scala Richter. Tali agevolazioni sono fortemente incentivanti per i condomìni, ove si sa che è molto difficile raggiungere il quorum deliberativo relativamente alle spese antisismiche.
Ed ecco che la Legge organica per focalizzare i diversi elementi della materia dovrebbe prevedere obblighi affinché tutti, ma proprio tutti, i proprietari di immobili fossero costretti, da un canto a realizzare le opere, e dall’altro per avviarle. Quindi, sui due piatti della bilancia vi sarebbero gli oneri e i vantaggi.
Non pensiamo che tutti i cittadini e le imprese italiane attuerebbero tale ipotesi legislativa, ma crediamo che molti comincerebbero ad attivare i meccanismi per realizzare quello che è stato fatto in Giappone in settant’anni a partire dal dopoguerra.
Decidere così è fare buona politica. Peccato che manchino i buoni politici.