Centri storici: tutti giù per terra

PALERMO – Servono 60 miliardi di euro da distribuire su dieci anni per mettere in sicurezza anti sismica gli edifici storici dei comuni italiani. Lo ha comunicato nei giorni scorsi Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza e delegato Anci all’Urbanistica, chiedendo al Governo la realizzazione di un fondo ad hoc e di semplificazioni burocratiche per i sindaci che permettano di agire su strutture pubbliche e private. In questo quadro nazionale, il patrimonio siciliano si prende una quota rilevante: considerando soltanto le abitazioni che si trovano nei comuni isolani delle due più elevate fasce di rischio sismico (oltre il 90% del totale) serviranno circa 8,7 miliardi di euro, secondo una stima basata su un lavoro del centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri.
 
Per l’Ance gli interventi di miglioramento sismico delle abitazioni collocate nelle prime tre zone a maggior rischio sismico in Sicilia produrrebbero circa 13 miliardi di euro di investimenti. Eppure i pericoli per le case siciliane non arrivano soltanto dal sisma, ma dalla loro età.
Il terremoto è un rischio concreto, soprattutto se un centro comune siciliano su due non dispone di Piani di emergenza (dati dipartimento della Protezione civile) e se le case, per la maggior parte vecchie e non adeguate alla normativa antisismica, si trovano in aree ad elevato rischio. In Sicilia ci sono 27 comuni che rientrano nella fascia di pericolosità più elevata, secondo l’ultima mappatura dell’Ufficio rischio sismico e vulcanico della Protezione civile (marzo 2015), e ospitano 355 mila persone per 144 mila abitazioni occupate in edifici residenziali per una superficie pari a 13 milioni di mq. Nella seconda fascia ci sono 329 comuni che ospitano circa 4,2 milioni di siciliani e 1,6 milioni di abitazioni. Nelle prime due zone di rischio, quelle in cui si possono verificare “fortissimi terremoti” (zona 1) e quelle in cui “possono verificarsi forti terremoti” (zona 2), si concentrano 4,5 milioni di siciliani e 1,7 milioni di abitazioni occupate.
Ma le case isolane restano scadenti indipendentemente dalla loro collocazione. Nel 2014 una mappa sullo stato di salute degli edifici dei quattro mandamenti del centro storico di Palermo (Palazzo Reale, Castellammare, Tribunale e Monte di Pietà), aveva censito 228 edifici ritenuti pericolanti e urgenti, 329 pericolanti e 901 degradati. Non migliore la situazione di Agrigento che nel 2007 aveva visto il progetto Hyperion, tramite il lavoro dei volontari di protezione civile dell’Ordine degli Architetti, censire 692 edifici nella zona del centro storico fissando in 50 la quota di inagibili, 10 parzialmente inagibili e 66 agibili con interventi di consolidamento. Numeri che sarebbero ancora più allarmanti oggi, come ha precisato Rino La Mendola, vice presidente del Consiglio nazionale Architetti e componente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, in un intervento diffuso alla fine di agosto. A Catania non c’è una mappatura integrale, ma i casi non mancano. Il più celebre è quello in via Volturno, quartiere di Cibali, con i residenti che hanno più volte richiesto un intervento su alcuni edifici pericolanti di proprietà del Comune.
Numeri ancora più esagerati se allarghiamo il raggio d’azione, con la conferma che esiste un’emergenza di qualità abitativa. Nelle tre aree comunali di Catania, Messina e Palermo ci sono oltre 20 mila edifici costruiti prima del 1919, 50 mila prima del 1946 e 120 mila prima del 1971 (“Forme e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia”, Istat). In generale, nell’Isola quasi una casa su tre (26,8%) si trova in uno stato di conservazione “pessimo” o “mediocre” (stima su dati Istat). In valore assoluto, a fronte di un totale di 1,4 milioni di edifici residenziali siciliani, ce ne sono 375 mila tra “mediocre” (331 mila) e “pessimo” (43 mila). Gli altri si distribuiscono tra “buono” (750 mila) e “ottimo” (300 mila). Case inutili e disabitate. La percentuale degli edifici non più abitati dai siciliani, in quanto cadenti, in rovina o in costruzione, è pari al 17% del totale nazionale, cioè il primo dato per regione che è quello che cumulano assieme le due Regioni al secondo e al terzo posto della classifica (Calabria, 9,3% e Campania 8,4%).
Intervenire non è semplice, anche perché spesso i sindaci firmano le ordinanze per la messa in sicurezza o per gli interventi di manuntenzione, ma poi i privati non le rispettano. A Palermo, per esempio, sono state 51 le ordinanze emesse e soltanto 5 rispettate. Un problema di fondi per i privati che però non risolve l’incolumità dei cittadini, al punto che la Giunta del capoluogo ha dovuto stanziare 2 milioni di euro per la messa in sicurezza di ruderi a rischio crollo.
Alcuni strumenti esistono già. Nel 2015 la Regione siciliana ha lanciato il bando pubblico per la realizzazione di interventi di recupero degli edifici situati nei centri storici attraverso interventi di restauro i risanamento conservativo, di ripristino funzionale, di manutenzione straordinaria e di adeguamento alle norme vigenti e alle disposizioni antisismiche. L’importo massimo finanziabile è di 300 mila euro attraverso un mutuo agevolato di durata ventennale con rate semestrali. Lo scorso giugno il Dipartimento delle Infrastrutture ha pubblicato l’elenco delle cooperative edilizie inserite nelle graduatorie di definizione del bando. L’elenco, che comprende soggetti inseriti dal 29 novembre del 2016 al 9 maggio di quest’anno, riguarda 110 imprese per un numero equivalente di comuni in cui si potranno effettuare gli interventi.
 

 
Un rilancio fondamentale anche in termini turistici
PALERMO – Complessivamente servirebbero 200 miliardi per mettere completamente in sicurezza 7 milioni di abitazioni nelle zone sismiche più pericolose. Lo ha spiegato Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza e delegato Anci all’Urbanistica, precisando che “per ridurre in modo sensibile i rischi di crolli non serve la messa in sicurezza a livelli massimi. Anzi, secondo il Consiglio superiore dei lavori pubblici sarebbe sconsigliabile ed economicamente insostenibile”. Di fatto sarebbe sufficiente, almeno per il momento, un generalizzato intervento di “rafforzamento locale”: si tratta della prima fase “dell’adeguamento sismico, ne rappresenta il 30%, ma anche la parte più importante per evitare crolli e perdite di vite umane”.
Un’azione che permetterebbe inoltre “la manutenzione del nostro inestimabile patrimonio storico-architettonico – ha proseguito Occhiuto – il risparmio rispetto alle ricostruzioni post-terremoto, la rinnovata attrattività dei nostri borghi, il risparmio di suolo per nuove soluzioni abitative, il rafforzamento delle identità locali e l’inevitabile appeal anche per gli investimenti da parte dei privati, che farebbero da volano alla definitiva messa in sicurezza degli edifici in chiave anti-sismica e ai massimi livelli”.
Serve tuttavia un’azione più incisiva anche su altri fronti, perché si rendono necessarie delle norme “semplifichino l’azione dei Comuni: la realizzazione del piano sarebbe affidata proprio alle amministrazioni comunali che dovrebbero avere come minimo la possibilità di intervenire anche su edifici privati in nome dell’interesse maggiore relativo alla pubblica incolumità e alla conservazione del nostro patrimonio storico”. Un riferimento anche alle Soprintendenze, perché Occhiuto richiede una riforma che “ne ridefinisca il ruolo e ne adegui organico e dotazioni: serve un’azione di tutela attiva del patrimonio” per agire “al fianco dei Comuni e non contro di essi”.
 

 
Il pericolo che le elezioni stoppino processi virtuosi
 
PALERMO – Ci sono 2 miliardi di opere che potrebbero essere avviate entro l’anno. Lo ha scritto l’Ance Sicilia in una nota diffusa all’inizio di settembre, precisando come l’impegno dell’assessore Luigi Bosco, che negli ultimi tre mesi avrebbe finalizzato gli atti necessari per la cantierabilità delle opere, non deve cadere nel vuoto. Santo Cutrone, presidente dei costruttori isolani, ha infatti richiesto che i decreti vengano trasformati in cantieri prima delle elezioni del prossimo 5 novembre,  “per non vanificare il risultato ed evitare che tutto si areni sulla secca delle promesse come è avvenuto in passato”. In questo senso è stato esplicitamente richiesto un incontro per l’istituzione di una Cabina di regia comune di monitoraggio fra Assessorato e Consulta siciliana delle costruzioni, l’organizzazione che accomuna i principali attori dello scenario edilizio isolano. 
In campo, oltre che alcuni interventi relativi all’Accordo di programma quadro rafforzato con Anas,  al Patto per il Sud e poi ancora alla velocizzazione di alcune tratte ferroviarie, ci sono anche 37 iniziative di housing sociale presentate dalle imprese per attingere al fondo da 60 milioni di euro. Si tratta di interventi di promozione di mix sociali di funzioni e di offerta abitativa per alloggi, locali a canone controllato. I criteri di individuazione delle aree e degli immobili premiano i comuni con popolazione residente superiore a 50mila abitanti e i centri storici (anche se non si escludono le altre aree). Priorità, pertanto, ai progetti che “recuperino il patrimonio abitativo esistente” con particolare riferimento alla zona dei centri storici e quindi a quelli che perseguono livelli di elevata efficienza energetica e sostenibilità ambientale.