Dunque, sono destituite di fondamento tutte le informazioni diffuse dai presidenti delle due Regioni e dagli organi di stampa interessati, circa le richieste di Autonomia analoga a quelle delle Regioni a Statuto speciale e le altre relative alla materia fiscale. Quest’ultima, sempre come statuisce la Costituzione, è materia esclusiva dello Stato (art. 53). Quindi, tutte le argomentazioni relative a una maggiore attribuzione delle imposte nazionali a Lombardia e Veneto sono costituzionalmente improponibili.
Questa condizione, obiettivamente danneggia le due Regione ricche del Paese, perché diventano tributarie di uno Stato centrale sprecone, che distribuisce risorse a pioggia, che non privilegia gli investimenti e soprattutto che sostiene indebitamente le Regioni meridionali inefficienti, ove da decenni alberga la cultura del favore piuttosto che quella dello sviluppo.
Questa è una conseguenza di una classe politica abituata a scambiare il bisogno con il voto, anziché progettare in grande e utilizzare tutte le risorse per costruire il futuro, passo dopo passo.
Cosicché, in Sicilia vi sono Caste di ogni genere, soprattutto nel settore pubblico, mentre i poveri stanno viaggiando verso il milione di unità.
Con il taglio dei trasferimenti statali e la diminuzione delle entrate regionali, la situazione del Bilancio della Sicilia si è fatta drammatica. Bisogna dare atto a quell’eccellente assessore all’Economia, che è Alessandro Baccei, della capacità mostrata nel ristrutturare le finanze dell’Ente e ricondurle in limiti meno disastrosi.
Tuttavia, nulla ha potuto fare per trasferire risorse dalla spesa corrente agli investimenti, pressato da orde fameliche che lo hanno strattonato per un verso o per l’altro e lo hanno costretto ad allargare i cordoni della borsa per accontentare questa o quella categoria di privilegiati e parassiti.
Ormai è parere unanime: lo Statuto siciliano deve essere profondamente modificato. Ma forse sarebbe opportuno che il Parlamento nazionale, con una riforma costituzionale approvata dai due terzi dei suoi componenti, senza la necessità del referendum confermativo (art. 138), abolisse le Autonomie delle cinque Regioni per ristabilire la parità fra tutte.