Pil, l’inganno delle percentuali

Le parole sono pietre, si dice, ma anche con i numeri sarebbe opportuno non scherzare.
Quando si parla di Pil, entrano sempre in gioco le famigerate “percentuali” per cui l’impressione è che si possa dire tutto e il contrario di tutto.
 
Il Rapporto Svimez 2017 sull’economia del Mezzogiorno pubblicato lo scorso 7 novembre pone l’accento sulle performance di crescita del Sud Italia: “Il Mezzogiorno cresce più del Centro-Nord – si legge nel documento – per il secondo anno consecutivo: un risultato non scontato, anche perché fa seguito ad una crescita del 2015 che sembrava avesse tratti di eccezionalità, legata a fattori difficilmente ripetibili”.
 
La crescita a cui accenna il rapporto fa riferimento al prodotto interno lordo 2016 (a prezzi concatenati, valori di riferimento anno 2010) che nel Mezzogiorno ha conosciuto un incremento dell’1%.
 
“L’incremento – scrive ancora Svimez – è stato superiore di 0,2 punti a quello rilevato nel resto del Paese (0,8%), mentre l’anno precedente il divario a favore del Mezzogiorno era stato doppio (0,4%). L’economia delle regioni meridionali nel 2016 ha quindi consolidato la ripresa, contribuendo alla crescita del Pil nazionale in misura ben maggiore alla dimensione produttiva dell’area. Nel biennio 2015-16 il contributo meridionale alla crescita del Pil italiano è stato pari a quasi un terzo, a fronte di una quota sul Pil dell’area che vale meno di un quarto”.
 
La precisazione della Svimez sul valore della quota del Mezzogiorno sul Pil nazionale è più che opportuna perché se è vero da un lato che l’incremento percentuale del Sud è superiore a quello del Centro-Nord, dall’altro è altrettanto vero che la crescita è stata rispettivamente di quattro e dieci miliardi.
 
Gli incrementi percentuali, infatti, in realtà fanno riferimento a valori di partenza profondamente differenti: il Pil del Mezzogiorno vale 356 miliardi, quello del Centro-Nord 1.210 miliardi.